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Euro crisis

Telegraph: L’Europa si trova in una crisi ben più grave che l’uscita del Regno Unito

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Guest Post di Voci dall’estero

 

Come riporta Ambrose Evans-Pritchard sul Telegraph, i risultati del voto per le Europee nel Regno Unito hanno lanciato il chiaro segnale che il popolo britannico non vuole più avere a che fare con il progetto dell’Unione Europea. Ma per gli eurocrati questo è il problema minore: la contraddizione tra gli elettorati dei paesi mediterranei che chiedono la crescita e quello tedesco che chiede di non accollarsi i problemi dei periferici è inconciliabile. Le contraddizioni dell’Unione Monetaria stanno spazzando via l’Unione Europea stessa.
 

Se l’élite politica europea prima poteva anche non crederci, oramai deve sapere senza alcun dubbio di aver perso la Gran Bretagna. Quest’isola non fa più parte del progetto europeo in alcun senso significativo.
Domenica, i britannici difensori dello status quo sono andati al tappeto. L’UKIP ha ottenuto il  27,5% dei voti, che sarebbe stato il 29% considerata la negligenza – o peggio – della Commissione elettorale, che ha permesso a un partito civetta con lo stesso nome di seminare confusione. I conservatori eredi di Margaret Thatcher sono più amichevoli verso l’UE, ma solo di stretta misura.

La decisione della Gran Bretagna a Maastricht di star fuori dall’Unione monetaria ha sparso i semi della separazione, come i pro-europei compresero pienamente allora, anche se quasi nessuno si aspettava che la burocrazia dell’Unione riuscisse a chiudere il discorso così definitivamente  affondando l’eurozona con politiche da anni ’30 (ai tempi del Gold Standard) e livelli di disoccupazione giovanile sopra il 50% in Spagna e in Grecia e il 40% in Italia.

D’ora in poi i leader europei devono  mettere in conto che il popolo britannico voterà per abbandonare completamente l’UE, a meno che non gli venga offerta qualche nuova concessione: accesso al mercato unico senza dazi, similmente a quanto già ottenuto da Turchia o Tunisia; e liberazione da metà dei vincoli del Diritto Comunitario, quel complesso di  170.000 pagine di direttive e regolamenti che uccide la sovranità e che mai viene abrogato.

Gli estremisti ideologici preferirebbero vedere l’uscita della Gran Bretagna piuttosto che tollerare un rovesciamento della cieca dottrina della moneta unica, e alcuni parlano di tagiar fuori le merci britanniche dai mercati europei. Sono fanatici. Altri sanno che la credibilità globale dell’UE verrebbe distrutta se uno dei suoi Stati più grandi – e uno dei due leader in potenza militare – dovesse abbandonare il progetto con indignazione, come il tedesco Wolfgang Schauble ha ripetutamente avvertito. 

 
Il voto francese per dipartimenti. Il Front National (FN) è in grigio
 
 
Un’uscita della Gran Bretagna (Brexit) cambierebbe gli equilibri dell’Unione, lasciando la Germania in un ruolo egemone non desiderato e lasciando la Francia in un molto imbarazzante “menage a deux”. Priverebbe gli Stati più piccoli del loro campione di politica economica e comporterebbe il rischio di una reazione a catena. Una zona di scambi commerciali meno vincolante potrebbe diventare d’improvviso una prospettiva più seducente per le regioni protestanti dell’Europa del nord. Gli Euroscettici hanno vinto anche in Danimarca, proprio come in Gran Bretagna.

E’ facile prevedere che i leader UE potrebbero cercare una soluzione più facile, lasciando che la Gran Bretagna se ne esca pur rimanendo un membro dell’Unione Europea semi-indipendente o solo a livello formale. Potremmo chiamarla la soluzione “Sacro Romano Impero”.

Eppure la Gran Bretagna non è che l’ultimo dei problemi. Lo shock molto maggiore è il “Terremoto” in Francia, come lo chiama Le Figaro, dove il Front National di Marine Le Pen ha vinto in 73 dipartimenti elettorali, mentre i socialisti del presidente Francois Hollande ne han vinti solo due.

Lunedì sera, il messaggio di Hollande alla nazione era triste. Non ha dato risposte oltre qualche riferimento proforma a “crescita, posti di lavoro e investimenti”, immediatamente smentiti dalla sua volontà di insistere tenacemente con la stessa politica restrittiva che ha portato al disastro. Il suo primo ministro, Manuel Valls, ha anche annunciato che il Presidente avrebbe portato a termine il suo mandato di cinque anni, come se questo fosse già in dubbio.

Molti sostengono che il Front National sia euroscettico solo in superficie. Forse, ma quando ho chiesto alla signora Le Pen che cosa avrebbe fatto il primo giorno del suo mandato se fosse mai arrivata al Palazzo dell’Eliseo, la risposta è stata incisiva. Avrebbe dato istruzioni al Tesoro francese per pianificare l’immediato ritorno al Franco, quel grande simbolo dell’emancipazione dall’occupazione inglese (l’etimologia del termine deriva dall’”affrancarsi” dagli Inglesi).
Ha promesso di confrontarsi con i leader europei, mettendoli subito davanti a una scelta netta: lavorare con la Francia per una “uscita concertata” o smantellamento coordinato dell’Unione Monetaria Europea, oppure resistere e lasciare che l’”Armageddon finanziario” faccia il suo corso. “L’euro cessa di esistere nel momento in cui la Francia se ne va, e questa è la nostra  incredibile forza. Cosa faranno, manderanno i carri armati?” ha detto.

La Le Pen ha detto che non ci può essere nessun compromesso con l’Unione Monetaria, ritenendo impossibile restare una nazione sovrana all’interno delle strutture dell’UEM e impossibile effettuare le politiche di reflazione necessarie per sconfiggere la crisi economica. “L’euro blocca tutte le decisioni economiche. La Francia non è un paese che possa accettare la tutela di Bruxelles. Stiamo cedendo a uno spirito di schiavitù,” ha detto.
Le autorità dell’UE sono ora in una situazione quasi senza speranza. La logica dell’UEM vuole un’ulteriore erosione degli Stati nazione. Il “Two Pack”, “Six Pack” e “Fiscal Compact” stanno tutti per entrare in vigore, e i governi nazionali stanno perdendo il controllo sui loro sistemi bancari. L’euro si trascinerà inevitabilmente di crisi in crisi senza una qualche forma di unione fiscale e di condivisione del debito. Ma gli elettori hanno appena lanciato un urlo primordiale contro qualsiasi ulteriore trasferimento di poteri.
Ad eccezione della Germania, le elezioni sono state un ampio ripudio dell’austerità UEM. I due partiti dominanti del periodo post-Franco in Spagna hanno visto la loro quota di voti calare dall’80% della volta precedente al 49%, con i radicali di Podemos sbucati dal nulla quattro mesi fa che hanno ottenuto l’8%, con una campagna basata su “impedire che la Spagna sia una colonia della Germania e della Troika”.
La coalizione di austerità che ha spinto l’Olanda in deflazione del debito si è schiantata al 21%. Gli esecutori delle politiche della Troika UE-FMI sono scesi al 31% in Grecia e al 28% in Portogallo.
Il nuovo leader italiano, Matteo Renzi, ha invertito il trend con un risultato record del 41% per il centro-sinistra, ma il suo trionfo non è meno minaccioso per il regime politico UEM. Dopo aver visto i compagni socialisti europei autodistruggersi cercando di eseguire un intervento chirurgico radicale senza anestesia sulle loro economie, egli sceglierà la crescita a prescindere da quello che possano dire a Bruxelles sulle regole di disavanzo dell’UEM. Se qualcuno ha lo stile per condurre una rivolta per la reflazione, è questo irrefrenabile giocatore d’azzardo toscano.
Ma le elezioni hanno prodotto un altro jolly. Il partito tedesco Alternative for Deutschland (AfD) ha guadagnato gli onori della cronaca con il 7,5% dei consensi. Per la prima volta questo movimento anti-euro ha una piattaforma elettorale da cui prendersela con le politiche di salvataggio o qualsiasi deviazione dall’ortodossia dalla Banca Centrale Europea. Ora è ancora più difficile per la Cancelliera Angela Merkel cedere terreno, sia come concessioni sui debiti, sia sul ritmo del risanamento fiscale.
L’emiciclo di Strasburgo sta per diventare una camera di militanza e di protesta dove una Babele di voci impedisce qualsiasi azione, usando lingue che gli altri non capiscono nemmeno, come il Parlamento di Cisleitania negli ultimi anni dell’Impero degli Asburgo, quando l’impero stava cadendo a pezzi.
I leader europei contano che la ripresa li salverà, sperando che il resto del mondo generi la domanda necessaria a farlo, senza crearne nessuna. Questo è giocare a dadi col destino in un momento in cui la Cina sta soffocando il suo boom del credito, la maggior parte dei  BRIC sono nei guai e la Federal Reserve sta facendo politiche restrittive.
L’Italia, l’Olanda e il Portogallo son tornate in recessione nel primo trimestre, e la Francia è ancora in stallo. I dati più recenti mostrano che in aprile l’aggregato monetario M3 si è ridotto nuovamente. È la nuova normalità di una stagnazione perpetua.
Il “Fiscal compact” europeo ha messo in moto una meccanismo rovinoso, che richiede agli Stati di tagliare la spesa per legge anno dopo anno fino a quando i debiti torneranno al 60% del PIL, e noi saremo tutti morti. Il meglio che si può sperare è una crescita dell’1% nell’Europa meridionale per un intero decennio, ma è troppo poco per evitare una generazione perduta o per fermare l’aumento dei rapporti di debito pubblico e privato combinati.
Le dichiarazioni che “tutto va bene” sono smentite da forti sentori che la prossima settimana la BCE dovrà avventurarsi verso l’ignoto, tagliando il tasso di sconto a sotto zero e lanciando un acquisto di asset. Le banche centrali non intraprendono queste politiche, a meno che qualcosa non stia andando davvero male. Questi stimoli non saranno sufficienti, naturalmente. La struttura della BCE la rende incapace di agire con la forza travolgente della FED o della Banca del Giappone, quindi essa non riuscirà a rompere la deriva recessiva.
Ad un certo punto il ciclo globale si invertirà, lasciando questa zona paralizzata di fronte alla prospettiva di un’altra recessione, prima di aver mai vissuto alcuna effettiva ripresa. È un pensiero che fa riflettere. La disoccupazione potrebbe raggiungere nuovi massimi. Le elezioni europee del 2019 potrebbero vedere l’annientamento del sistema dei partiti esistenti, sempre che si riesca ad arrivarci.
Non confondiamoci riguardo a cosa è accaduto. La causa di questa catastrofe sociale, politica ed economica è l’Unione Monetaria Europea. Come l’economista  premio Nobel Paul Krugman ha detto questa settimana: “prima dell’avvento dell’euro in Europa non ci sono state recessioni a livello di vera depressione“.
L’unione monetaria ha prima destabilizzato il sud con enormi flussi di capitale. Ora la sua tendenza recessiva blocca la ripresa.
In un accorato appello pubblicato su una rivista del Fondo Monetario Internazionale, il Professore di Oxford Kevin O’Rourke ha chiesto di porre fine alla miseria. Quello che trova incredibile è che i funzionari dell’Unione Europea sembrano trattare come un dato assodato il fatto che la disoccupazione debba rimanere bloccata ai livelli degli anni ‘30, o che il PIL italiano sia tuttora inferiore del 9% rispetto al massimo, a un lustro dalla crisi. “Questi non sono dettagli minori, imperfezioni in un record altrimenti impeccabile, ma la prova di un misero fallimento di politiche” ha detto.
Se gli storici economici hanno imparato qualcosa dalla Grande Depressione, è che gli aggiustamenti basati sull’austerità e la svalutazione interna sono pericolosi. La Gran Bretagna è riuscita ad avere grandi avanzi primari durante gli anni venti, ma il rapporto debito-PIL è aumentato sostanzialmente a causa delle condizioni deflazionistiche e della minore crescita.”
Il Professor O’Rourke ha detto di aver aspettato per cinque anni che i leader europei forgiassero i nuovi strumenti necessari per far funzionare questo esperimento fallito, ma è ormai evidente che la Germania non permetterà un’unione fiscale o una condivisione delle passività bancarie, e gli altri non accetteranno un’Europa politica federale. E’ pertanto inutile prolungare l’agonia.
La scomparsa dell’euro sarebbe una grave crisi, non c’è dubbio su questo. Non dovremmo augurarcela. Ma se una crisi è inevitabile, allora è meglio che avvenga subito, mentre i centristi e gli eurofili sono ancora in carica. Se l’euro verrà infine abbandonato, la mia previsione è che gli storici tra 50 anni si chiederanno per quale ragione sia stato introdotto “, ha detto.

 

 


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