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Non è tempo di ridiscutere gli obiettivi inflazionistici del 2%?

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Il risveglio dell’inflazione ha portato in auge i timori degli anni settanta, cioè di non essere capaci a governarla. Per questo motivo nessuna delle grandi banche centrali occidentali ha cambiato i propri obiettivi di inflazione a lungo termine al 2%: cambiarli sembrerebbe l’ammissione di impotenza dei super potenti governatori UE e delle altre banche centrali occidentali. 

Questo non significa che l’inflazione non sia un problema reale. In Europa, in particolare nel Regno Unito, l’inflazione di fondo si sta dimostrando ostinata. Negli Stati Uniti ci si chiede come la Federal Reserve riuscirà a percorrere l'”ultimo miglio” dal 4 al 2%.
Il problema non sarebbe così sentito se fossimo sicuri che la politica monetaria funziona. Nel 1979, l’allora presidente della Fed Paul Volcker applicò tassi altissimi. Da allora, le economie avanzate hanno una scarsa esperienza nella gestione di una grave inflazione. L’economia è ambigua. Diversi modelli (apre una nuova finestra) forniscono stime molto diverse sul livello dei tassi da raggiungere. Ciò che è chiaro è che, anche in uno scenario di atterraggio morbido, il raggiungimento del 2% comporterà un aumento della disoccupazione. Nel peggiore dei casi, farà crollare le banche e, come ha avvertito il FMI (apre una nuova finestra), metterà sotto pressione le fragili economie emergenti e in via di sviluppo.

Per realizzare l’epurazione disinflazionistica senza mettere a rischio il sistema finanziario, il banchiere dei banchieri centrali, la Banca dei Regolamenti Internazionali (apre una nuova finestra), sostiene ora che anche la politica fiscale deve unirsi alla lotta, per comprimere ulteriormente la domanda aggregata.

Quindi per la BIS e per le banche centrali, per riportare l’inflazione al 2% preservando le banche, bisognerebbe applicare tassi  d’interesse più alti per un periodo più lungo e di austerità fiscale. Cosa significa questo a livello di ricadute sociali? Cosa verrebbe a comportare per i paesi in via di sviluppo? Cosa significherebbe pe il dollaro?

La stabilità dei prezzi è importante, ma quanto vale, di fronte alle politiche sociali, alla decrescita demografica, alle politiche sociali da affrontare per cercare, in qualche modo, di integrare i nuovi cittadini? Spesso si è detto che abbandonare l’obiettivo del 2% significherebbe una perdita d’immagine per le banche centrali occidentali. E allora? L’immagine di un banchiere centrale vale più delle sofferenze di decine di milioni di persone e, probabilmente, della solidità dello stesso costrutto sociale?

Nessun popolo ha mai votato l’obiettivo del 2% di inflazione. Non è stato chiesto agli americani, non è stato chiesto agli inglesi, sicuramente non è stato chiesto agli italiani. Forse è stato implicitamente chiesto ai tedeschi, che, alla fine, hanno comandato tutto il mondo con la loro mania inflazionistica. I risultati li stiamo vedendo.

Non si può pensare di conseguire politiche di integrazione, o di carattere ambientale, o di sviluppo, o di conservazione dell’influenza internazionale, continuando a perseguire degli obiettivi inflazionistici ormai irrazionali. La famosa spirale prezzi salari dovrebbe non essere combattuta a suon di disoccupazione e sotto occupazione, ma favorita in modo controllato, evitando che vada fuori controllo, ma anche che i redditi continuino ad essere compressi. Perché reddito compresso non è che un modo diverso di dire povertà.

Bisogna quindi smetterla di agitare gli spauracchi degli anni 70  e continuare a chiare in ballo TINA, “There is no alternitive” quando questa alternativa c’è. Se mai si tratta di tornare a fare quello che non viene più fatto da tempo, cioè governare in modo attento i fenomeni economici considerando i problemi della crescita e del benessere sociale. Per troppo tempo si è lasciato tutto in mano al pilota automatico di una programmazione para-sovietica di piani quinquennali irraggiungibili e socialmente devastanti.

 

 


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