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Suriname: il paradiso energetico sudamericano va in default e cade in mano agli strozzini

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Il governo del Suriname, pur ricchissimo di petrolio e idrocarburi, si trova a dover ristruttuare un debito di 675 milioni di dollari di obbligazioni in default, ha dichiarato il Ministero delle Finanze del Suriname in un comunicato di questa settimana.

L’offerta di ristrutturazione presentata dal Ministero delle Finanze del Suriname è stata respinta da cinque creditori questo mese, mentre il Paese cerca di trovare una soluzione al suo default. Quella che altrimenti poteva essere un’offerta accettabile sta diventando meno attraente per i creditori, che stanno puntando sulle future royalties derivanti dalle appetitose ricchezze petrolifere che potrebbero essere presto sfruttate, come riporta Bloomberg. Praticamente preferiscono impossessarsi del petrolio del paese, da bravi speculatori. 

Il territorio offshore del Suriname si trova proprio al di là del confine con l’area offshore della Guyana, che negli ultimi due anni ha visto una raffica di scoperte petrolifere come non se ne vedevano da anni.

Il Suriname ha offerto una di “compensare i creditori nel prossimo futuro, se il Paese dovesse ricevere i soldi del petrolio offshore”. Il problema è che proprio questa mancanza di capitali viene a rallentare lo sfruttamento delle enormi ricchezze energetiche. Nel frattempo il valore dei titoli di stato del Suriname sta crollando: le obbligazioni del Suriname del 2023 sono vicine agli 81 centesimi di dollaro, mentre quelle del 2026 sono state per mesi a 71 centesimi di dollaro, secondo i calcoli di Bloomberg.

Uno strumento a reddito fisso legato alle royalties petrolifere potrebbe compensare qualsiasi deficit di ristrutturazione per gli obbligazionisti. I negoziati, tuttavia, hanno portato a un disaccordo sulla ripartizione delle prime royalties petrolifere del Suriname. Questi vorrebbero avere una quota delle royalties petrolifere dopo i primi 50 milioni, mentre il paese vorrebbe pagarli dopo i primi 500 milioni. Praticamente questi investitori sono dei veri e propri strozzini, e se un paese europeo intervenisse pagando il debito in cambio di accordo petrolifero esteso potrebbe fare un ottimo affare.

 


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