Economia
Cosa succederebbe se il dollaro si svalutasse nel 2018 fino a 1.50 e oltre contro euro? La recente aggressività dell’EU va infatti compresa, prima che sia troppo tardi
Back to basics, la cosa che mi piace di più. Dunque, domanda, cosa succederebbe se a fine 2018 il dollaro arrivasse a 1.50 su euro? Chi ne soffrirebbe maggiormente in seno all’EU? Ricordiamo infatti che dal febbraio prossimo l’Amministrazione Trump avrà il pieno controllo anche della Fed, con l’ultima nomina presidenziale di Marvin Goodfriend in grado di spostare il governatorato monetario USA verso l’extra dovish stance.
Soprattutto dopo le follie deficitarie dell’epoca Obama. Ben inteso, non sono nelle condizioni di fare previsioni, voglio solo ipotizzare cosa succederebbe se tale evento si concretizzasse in modo da poter meglio interpretare gli accadimenti esterni (…). Chiaro, la realtà sarà molto più complessa dell’ipotesi di un semplice macro evento, ho in testa un quadro assai preciso ma preferisco tenerlo per me (…). Posso solo anticiparvi che nel 2018 le crypto valute avranno un ruolo importante oltre a presentare un andamento non proprio atteso, certamente imbarazzante (…).
Vi risparmio i conti e le bugie dei media mainstream per nascondervi la potenziale gravità della situazione – bugie che vedrete a breve sui giornaloni, gli stessi troppo spesso propinatori di fake news per intenderci -, vado dritto alle conclusioni. Il paese EU che subirebbe maggiormente le conseguenze di una rivalutazione dell’euro avrebbe il seguente identikit:
1. grande esportatore,
2. con relativamente poco pricing power (ovvero che vende in maggior parte prodotti intermedi e non prodotti finali ad alto valore aggiunto, un terzista per intenderci),
3. con un sistema bancario oberato dai prestiti inesigibili e quindi incapace di assorbire lo shock della riduzione degli attivi,
4. con bassa solidità sistemica statale ed elevata instabilità sociale.
Appunto, l’identikit calza a pennello con l’Italia. I tedeschi, certo, subirebbero anche loro conseguenze negative dal crollo del dollaro ma molto meno serie. Infatti cosa fa una grande azienda, ovvero un grande Stato ben gestito, quando i costi diventano eccessivi a livello congiunturale? Semplice, tende a tagliarli. Ovvero in primis a scaricare i costi sui terzisti. E visto che la manifattura italiana in gran parte è terzista dei colossi tedeschi, vedasi su tutti l’automotive, le PMI italiane e la metalmeccanica fine italiana in particolare rischiano davvero grosso….
Il crollo del dollaro (se avverrà), con innegabile riduzione dei consumi da import americani – riduzione per altro espressamente desiderata da Trump, America First significa proprio questo -, causerebbe deflazione mondiale a vantaggio degli USA. A subire sarebbero i paesi esportatori, a partire dalla Germania ed in misura minore la Cina. Dunque, nel caso tale crollo del dollaro sarebbe l’occasione per mettere le mani sull’Italia da parte di Francia e Germania: il Belpaese sarà certamente quello che inevitabilmente subirebbe più di tutti la batosta dei maggiori costi dati da un euro troppo alto rispetto a quanto l’EU si possa permettere. E dunque sarà/sarebbe congiunturalmente debolissimo, restando nell’euro. Guardate ad esempio quale era il debito dei paesi EUrodeboli all’inizio della grande crisi, prima delle modifiche statistiche EU che hanno cambiato il computo del debito nazionale introducendo l’incomprensibile “economia sommersa” (il 118% di debito/PIL dell’Italia agli albori della crisi – in figura – si compara oggi con un numero prossimo al 155%, più o meno 8 anni dopo).
Infatti se è vero che la moneta unica è attualmente almeno il 30/35% più svalutata rispetto a quello che sarebbe il marco tedesco, ciò è avvenuto a spese – ossia grazie – ai periferici come l’Italia ammessi nella compagine eurica proprio con il fine di indebolirla a livello valutario. In ogni caso oggi l’euro resta sufficientemente sottovalutato rispetto al dollaro per garantire generale competitività a tutti i paesi dell’Unione, sebbene necessitando/avendo necessitato di deflazione salariale in alcuni specifici paesi come l’Italia per ridurre i costi locali.
Nel momento in cui l’euro dovesse decollare – … – tale deflazione salariale dovrebbe necessariamente accentuarsi per mantenere la competitività dell’area. Fino a diventare insostenibile nei Paesi che la praticano da anni (Italia, Grecia, Spagna ecc.), comportando per altro la necessità di una riduzione dei costi applicata anche ai sistemi più solidi, come quello tedesco. Il problema che più drammaticamente ci riguarda è che a tale punto l’Italia, oggi già al limite del collasso in termini di consumi interni, si troverebbe:
– (i) da un lato a dover imporre una ulteriore deflazione salariale – socialmente ed economicamente insostenibile -,
– (ii) dall’altro si troverebbe con un incremento della disoccupazione unitamente ad una riduzione delle entrate statali causa minore attività economica.
Il primo risultato sarebbe fare saltare i conti dell’INPS, soprattutto per la parte assistenziale (guarda casa quella attaccata da Federico Fubini recentemente, uno pagato da coloro che dall’euro traggono enormi profitti a danno della popolazione locale, ndr). Ovvero Roma si troverebbe nella necessità di misure straordinarie, a maggior ragione in perseveranza dell’austerità euroimposta. All’uopo ho scritto articoli ancora un anno e mezzo fa che appaiono tremendamente attuali, dove si trovano i dettagli tecnici (vedasi LINK).
Dunque si arriverebbe o al crack italiano o ad una imposta patrimoniale shock pari al 15-20% o anche 25% degli attivi finanziari delle famiglie (più svendite di Stato imposte all’Italia come fu per la Grecia, che a termine peggiorerebbero ulteriormente il quadro occupazionale nazionale), elemento che comporterebbe inevitabilmente un’ulteriore riduzione dell’attività economica e via dicendo… Un cane che si morde la coda, spirale mortale che potrebbe portare anche alla fine dell’Italia come entità statale, gli avvoltoi sono pronti al confine sulla falsa riga di quanto ha tentato di fare l’Austria ipotizzando il passaporto italiano per i sudtirolesi (ma implicando magari anche la lingua francese, …).
Tradotto, nel 2018 e poi nell’anno seguente nel caso di un crollo del dollaro, l’EUropa rischiererebbe davvero di terminare la sua breve e travagliata esistenza. Guarda caso l’EU, a sua autodifesa, sta diventando sempre più fascista ed aggressiva, solo questione di tempo prima che si trasformi in un sistema autoritario da manuale. Infatti oggi l’EU sta capendo che la fine può davvero essere ad un passo e dunque, a difesa degli interessi dei paesi che se ne avvantaggiano, cerca di difendersi. Attaccando. Oggi è la volta della Polonia (vedasi LINK), anche lei come l’Italia troppo filo-USA. Infatti gli USA, se non vogliono vedere mortalmente ridimensionato il loro ruolo globale, devono ridurre il deficit commerciale con l’estero, a tutti i costi, trade deficit che da troppi anni sta arricchendo gli esportatori mondiali ma indebitando alla morte la prima potenza economica e militare mondiale (Donald J. Trump è stato il primo presidente USA a dichiaratamente voler ridurre il deficit commerciale dai tempi di Nixon). Viceversa la BCE farà di tutto per evitarlo, vedremo chi vincerà.
Temo che i politici italiani eletti il prossimo anno dovranno scegliere: restare nell’euro facendo fare crack alle famiglie o uscirne per far ripartire l’economia? La storia ci insegna che la violenza in tale contesto sembra assicurata, da entrambe le parti.
Un colpo di stato in Italia, di quelli cruenti in quanto tutti gli aventi causa saranno certamente ben finanziati/supportati, non sembra più un’utopia.
Chi scrive tifa per l’Italexit. E tutto sommato dovendo tragicamente scegliere, anche per un governo di dura rottura, vista l’inettitudine ed il collaborazionismo dimostrato dagli ultimi quattro governi non eletti.
Mitt Dolcino
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