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Rinaldi: “Non facciamoci illusioni. Nessuno cambierà il patto di stabilità”. La UE è irriformabile

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Non illudiamoci: nessun Patto di stabilità e crescita futuro, riformato e non, potrà mai andare a modificare i limiti del 3% del deficit sul Pil e   del 60% del debito sul Pil, perché sono previsti dai Trattati costitutivi dell’Ue”.

“Il problema è riformare trattati concepiti più di trent’anni fa mentre nel frattempo è cambiato il mondo“.  queste le chiare parole dell’Eurodeputato Antonio Maria Rinaldi, che, tra l’altro, è membro della commissione ECON .

“Ho  notato che l’attuale Commissione europea vista la prossima scadenza vuole accelerare la chiusura dei diversi file, a iniziare dal Patto. Ma è meglio continuare con il vecchio Patto, che nella pratica non è mai stato applicato o andare su una riforma veloce o mal ragionata?   Iopreferirei uno nuovo, ma visto che quello vecchio non è stato applicato si continui a non applicare. Se è bastata una pandemia per sospenderlo evidentemente non funzionava”. Prosegue Rinaldi

L’europdeputato esclude però di voler frenare sulla riforma. “Io sono per il dialogo, ma la mia preoccupazione è una personalizzazione delle regole, che vengano utilizzate a livello politico – spiega -. Il vecchio Patto almeno è omnibus, non vorrei regole personalizzate Paese per Paese a seconda del colore di un partito. Oggi potrebbe andare male a noi, domani potrebbe andar bene e andare male a qualcun altro”.

“c’è anche un’incongruenza palese tra Mes e Patto. Nella riforma presentata dalla Commissione si esclude il parametro del saldo strutturale dai nuovi criteri, mentre nel nuovo Mes è invece previsto – nota -. L’incongruenza è che la Commissione ci chiede di approvare il Mes con questo criterio e dall’altra ci chiede che di toglierlo dal vecchio Patto perché è sbagliato”.

Quindi traiamo le conseguenze: il vero patto di stabilità, qullo contenuto nel patto fondativo dell’Euro del 1992, con il  60% di debito/PIL, il 3% di deficit, è una sorta di brontosauro, mai applicato per il debito neppure all’inizio (se no l’Italia e la Grecia non sarebbero mai entrate nell’Euro), applicato a caso per la parte del deficit di bilancio (Francia e Spagna l’hanno superato a lungo), ma alla fine per lo meno erano criteri validi per tutti, in teoria.

Quindi vennero il “Six Pack” e il “Two pack”, una serie di normative cervellotiche, introdotte durante la crisi del debito dell’Euro, che creavano il cossiddetto “Semestre europeo”, un sistema cervellotico di trasmissione anticipata dei dati di bilancio, poi sempre , e per tutti, non rispettati, che creava un ambiente da piano quinquennale di epoca sovietica con tanto di “Obiettivi di medio periodo” concordati, cioè ordinati, dalla commissione europea. Un errore che ha distrutto i bilanci europei e provocato una stagnazione europea.

Il “Six Pack” e il “Two pack”, con il loro “Braccio preventivo” e “Braccio correttivo”, non sono MAI diventati parte del trattato dell’Unione e sono rimasti parte deigli accordi interstatali. Non c’è accordo sufficiente. Ora la Commssione comunque vuole tornare ai criteri iniziali, ma con dei percorsi “Personalizzati”, stato per stato, cioè decisi sulla base della convenienza e della vicinanza politica della Commissione stessa. Una autentica porcheria.

Gli ultimi dieci anni hanno insegnato che la Commissione è un organo politico-partitico che ha figli e figliastri fra gli stati. Non esisten imparzialità e terzzietà, anzi la Commissione ama entrare a gamba tesa nella politica degli stati, pur non avendo nessuna legittimità politica. La proposta che questa presenta le darebbe un potere arbitrario enorme, senza nessuna legittimazione democratica. Allora meglio tornare ai criteri del 1992, che ormai sono inapplicabili, ma almeno sono per tutti. 

Purtroppo non può esserci fiducia in questa politica.

 

 


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