Seguici su

Attualità

Quello che non ha detto Juncker nel discorso sull’Unione di Paolo Savona

Pubblicato

il

 

Il dibattito che si è svolto dopo il ‘discorso sull’Unione’ di Juncker si è concentrato sull’elogio rivolto all’Italia per la politica di accoglienza dell’immigrazione illecita e sulla proposta di nominare un Commissario per il coordinamento obbligatorio delle politiche fiscali dei paesi-membri.

Questa volta le nostre reazioni sono state rapide e corrette: è stato detto e scritto che, da un lato, non bastano gli elogi per garantire il rispetto di regole comuni e adeguate risorse finanziarie per l’accoglienza e l’inclusione; dall’altro, che non soddisfa la proposta del coordinamento fiscale priva di indicazioni sullo scopo della riforma e i mezzi necessari.

Il Presidente della Repubblica ha ben espresso la posizione dell’Italia su entrambe le materie, sottolineando che non basta sollevare i problemi, occorre indicare le soluzioni pratiche che si vogliono dare. Basta leggere l’art. 3 del Trattato di Lisbona per stabilire che, senza indicare obiettivi e strumenti, la riforma resterà una mera enunciazione di principi e l’attuazione comporterà la colonizzazione delle scelte democratiche dei paesi-membri che hanno difficoltà di governo dei bilanci e debiti pubblici. La soluzione greca docet.

Noi ben sappiamo che molti obiettivi dell’Unione sono stati disattesi. La soluzione che garantisce un loro recupero non è l’accentramento del coordinamento fiscale, ma il passaggio all’unione politica. Essa, tuttavia, non è mai stata evocata nel dibattito, né da Juncker, che se ne guarda bene per non incorrere negli strali dei paesi che contano e che non la vogliono, né dai commentatori della proposta, forse perché non ritengono possibile attuarla.

Non basta sostenere, come fatto da Tajani, che il controllo democratico delle politiche europee è garantito dal Parlamento europeo, perché la tesi non ha fondamento pratico; infatti non si parlerebbe di asse franco-tedesco, né di attendere i risultati elettorali in Germania per decidere il da farsi. Preoccupa che, contrariamente a Ciampi, il quale parlava di “zoppia” dell’Unione riferendosi al mancato perseguimento dell’unione politica, Mattarella non abbia ripetuto in modo anche più chiaro questo concetto: l’unione fiscale presuppone quella politica e non può certo raggiungersi nominando un Commissario che divenga presidente dell’eurogruppo.

La proposta di creare un nuovo Commissario e il riferimento al ruolo che esso deve svolgere tra i paesi aderenti all’eurosistema sono stati motivati da Juncker per garantire il buon funzionamento del mercato comune e dell’euro, non per risolvere i problemi di disuguaglianza sociale causati dall’uso fatto delle due sovranità cedute senza politiche capaci di produrre un maggior benessere; come noto la filosofia prevalente nell’UE e che il raggiungimento degli obiettivi indicati nei Trattati va affidato al governo dell’offerta tramite le riforme da condurre a livello nazionale e non al governo della domanda aggregata continuamente sollecitata, ma che la Germania contrasta apertamente mantenendo un gigantesco risparmio inutilizzato che si manifesta in forma di un ingente surplus di bilancia estera.

L’esperienza passata non autorizza ad alimentare attese positive per la crescita e l’equa distribuzione delle risorse in Europa dalla proposta di Juncker.
Spero che non si ripeta l’errore già commesso in passato nella definizione dell’architettura istituzionale europea frutto di compromessi da cui discendono politiche tardive e inefficaci. Per poi sentir dire in Italia che non avevamo capito o che i paesi leader non avevano rispettato lo spirito degli accordi, perché questa volta è stato indicato il da farsi, magari in modo un po’ confuso, ma del tutto comprensibile.

La richiesta è che la cessione dell’ultima porzione di sovranità nazionale richiede un patto politico preciso che implichi il riconoscimento dell’eguaglianza di diritti e doveri dei cittadini europei, ossia un’unione politica statuale. Questo dovrà essere un argomento centrale per le prossime elezioni politiche in Italia. Spero che le posizioni equivoche in materia siano bandite dalla competizione elettorale affinché sia chiaro che il Governo che andrà alla trattativa europea su questa materia non potrà violare la volontà popolare; né si potrà celare dietro la scusa che gli accordi internazionali non sono sottoponibili a referendum (un problema che andrebbe affrontato con una riforma costituzionale specifica che abolisca il vincolo).

Se chi vincerà le elezioni avrà una posizione equivoca, il destino coloniale della gente comune in Italia sarà già scritto nei risultati, mentre i gruppi dirigenti che la auspicano resteranno immuni dal rischio di questa involuzione, perché coperti dalla ricchezza accumulata all’interno e all’estero.

Paolo Savona, MF, 19 settembre 2017


Telegram
Grazie al nostro canale Telegram potete rimanere aggiornati sulla pubblicazione di nuovi articoli di Scenari Economici.

⇒ Iscrivetevi subito