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Quella sera del settembre 1986 quando i libici uscirono dalla FIAT e Romiti mi chiese di lavorare per lui e non solo! di Antonio Maria Rinaldi

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Passeggiando qualche giorno fa in una notturna e sempre affascinante Milano, mi è tornata in mente e non chiedetemi il perché, la nota vicenda dell’uscita dei libici dall’azionariato della FIAT. A quei tempi ero già da un annetto un giovane funzionario del Servizio Borsa della CONSOB dopo aver fatto la mia brava gavetta fra centrali operative e tesorerie di banche, finanziarie, fondi e soprattutto consumando le scarpe nei parterre di Borsa. Ero alle dirette dipendenze del Direttore Giuseppe Zadra e del Presidente Franco Piga il quale, da profondo conoscitore dell’arte della politica, mi aveva inviato in sede stabile sulla piazza milanese a svolgere l’inedito, ma importante e delicato ruolo di  “informatore”. Insomma voleva avere occhi e soprattutto orecchie in modo da essere sempre il primo a sapere cosa accadesse in Piazza degli Affari.

Infatti ci si lamentava e a ragione, che la Commissione fosse a Roma mentre la finanza risiedeva da sempre a Milano e questa circostanza faceva storcere il naso a molti. Gli stessi influenti Presidenti degli Agenti di Cambio Ettore Fumagalli ed Urbano Aletti, quest’ultimo di qualche anno prima,  non  digerivano il fatto che chi doveva controllare e vigilare la Borsa si trovasse a centinaia e centinaia di chilometri di distanza nella romana Via Isonzo, più vicina alle segreterie dei partiti e ai corridoi dei ministeri che al motore finanziario e propulsivo del Paese. Piga ne era pienamente consapevole, ma più di trascinare i membri della Commissione una volta al mese nella sede milanese di via Brisa, non riusciva a fare.

Addirittura quando gli prospettai un “telefono rosso” che collegasse direttamente le “grida” di Palazzo Mezzanotte con la sua scrivania affinché fosse sempre il primo ad essere informato su tutto quello che accadeva sul mercato azionario ed obbligazionario, lo fece istallare nel giro di poche ore. Erano gli anni della Milano da bere e del panino e listino e per le strade non si parlava di calcio o di politica, ma delle perfomance della Montedison o delle Generali se non della Fondiaria o di Italcementi. Nel bar di via Gaetano Negri attiguo alla Borsa, era frequente prendere il caffè al bancone gomito a gomito con Indro Montanelli con la sua copia del Il Giornale sottobraccio a mo’ di baguette prima che si recasse in redazione.

Tutti erano sintonizzati sulla notizia ritenuta più credibile per poter “scommettere sul cavallo vincente” e gli eroi erano i finanzieri alla Francesco Micheli che con le loro epiche scalate infiammavano le sedute di Borsa e gli animi degli operatori. Al telegiornale della RAI delle 13.30 si aspettava il collegamento in diretta con Everardo Dalla Noce, storico inviato in Borsa, per carpire gli umori della giornata dopo aver divorato gli articoli della mattina firmati da Massimo Fabbri sulla Repubblica e da Osvaldo De Paolini su Il Sole 24Ore. Allora non si comprava “per contanti a tre giorni” ma a termine, e quindi anche l’uomo della strada che aveva il suo bravo conticino presso un Agente di Cambio o una Commissionaria riusciva a compiere operazioni incredibili senza tirare subito fuori neanche una lira con la speranza di chiudere nell’arco del mese le operazioni in tempo utile per portare a casa il c.d. “mosconcino” (in gergo per indicare un guadagno da una compravendita veloce).

Seguivo come un’ombra il Commissario di Borsa Salvatore Grillo (per gli amici Don Salvatore), già Commissario del Tesoro poi d’ufficio in forza Consob quando fu istituita con la legge 216 del 1974, per poter vigilare l’andamento del listino e fare ispezioni agli “esuberanti” intermediari. Grillo, palermitano doc, aveva un carattere introverso e spigoloso, non rivolgeva mai una sola parola al direttore del servizio di stanza a Roma, il trentino altrettanto doc Zadra (per gli amici Puccio), che lo aveva sostituito nel servizio un anno prima, e questo paradossalmente mi avvantaggiava enormemente perché ero di fatto l’unico interlocutore sulle vicende quotidiane di Milano. Don Salvatore era però un profondo conoscitore delle tecniche di Borsa, forse il più preparato e competente in Italia in assoluto, e avendo avuto la fortuna di entrare da subito nelle sue grazie, impresa più unica che rara, mi trasmise come si fa con un figlio tutto quello che non avevo ancora appreso da un altro mio grande Maestro, il fratello di mio padre Raffaello Rinaldi, Commissionario di Borsa a Roma.

Tornando a noi come dicevo, passeggiando per una Milano deserta qualche sera fa con il mio inseparabile toscano fra le labbra, mi sono ritrovato quasi in modo automatico ed istintivo fra Piazza degli Affari, Via Brisa e Via Cusani dove a quei tempi alloggiavo in un residence, ora trasformato in albergo, e non ho potuto fare a meno di ricordare quel periodo fantastico della mia vita di 37 anni fa e in particolare a quella serata del 24 settembre del 1986 quando i libici della LAFICO (Lybian Arab Foreign Bank Investment Company) uscirono dall’azionariato della FIAT e a cui casualmente, e per uno strano caso del destino, partecipai anch’io in prima persona.

Andiamo per gradi. Esattamente dieci anni prima, nel 1976, la FIAT attraversava un periodo difficile, aveva una forte esposizione debitoria e soprattutto una situazione produttiva non competitiva rispetto ai concorrenti tedeschi e francesi e servivano pertanto forti iniezioni di capitale da investire in innovazione. Si giunse quindi all’accordo con i libici, che per mezzo della finanziaria LAFICO, acquisirono poco più del 9% del capitale FIAT per 415 milioni di “petroldollari”, cooptando due loro rappresentanti nel Consiglio d’Amministrazione che per la cronaca si comportarono impeccabilmente come dei banchieri svizzeri, almeno come erano considerati una volta! Risorse che si rivelarono quanto mai necessarie perché servirono a concepire modelli come la Panda, la Uno, la Croma, la Delta e la Thema che rilanciarono il Gruppo FIAT ai vertici della produzione europea. Poi le note vicende Libia-USA consigliarono proprio nel 1986 che la presenza libica nel capitale fosse arrivata al termine anche perché il Gruppo FIAT voleva essere riammessa ai remunerativi appalti militari americani.

Il mercato aveva intuito questi scenari già dalla primavera e le prime pagine dei giornali a quei tempi erano tutte sulla notizia monopolizzando ovviamente le attenzioni degli operatori. Finalmente la sera del 23 settembre c’era stato un consiglio di amministrazione della FIAT per la definizione dell’operazione e si attendevano pertanto notizie.

Il giorno dopo, mercoledì 24, accadde però qualcosa che non potrò mai dimenticare. Stanco morto dopo il termine di una vivacissima seduta di Borsa con le azioni FIAT  sugli scudi fare scintille (trascorrevo ogni giorno in piedi non meno di 8/9 ore in mezzo a centinaia e centinaia di procuratori urlanti e scatenati) passai nell’ufficio di via Brisa per il riordino delle carte. Trovai sulla mia scrivania un telex delle 17.10 (non a caso a mercato ampiamente chiuso) trasmesso per conoscenza dalla sede di Roma a quella di Milano, riguardante la comunicazione inviata dall’Avv. Gianni Agnelli la sera prima, martedì 23 settembre alle 21.14 prot. 2893, al Presidente Prof. Franco Piga, dove preannunciava l’operazione di riacquisto della quota libica e rimandando a successive comunicazioni non appena si fossero definiti i dettagli tecnici.

Telefonai immediatamente a Roma per istruzioni, ma verso le 19.00 il centralino mi rispose che a quell’ora c’era solo il personale delle pulizie, rimasi per scrupolo fino alle 20.00 senza che accadesse nulla e poi mi incamminai al residence. Rientrato ebbi però appena il tempo di togliermi giacca e cravatta che il telefono fisso (allora non esistevano i cellulari!) squillò con il portiere che mi invitava a scendere perché “un signore chiede con insistenza di lei”. Rindossata frettolosamente giacca e cravatta in ascensore, trovai nell’atrio Francesco Paolo Mattioli, storico direttore finanziario della FIAT, che guardandomi fisso negli occhi tuonò: “Lei è Rinaldi? Dobbiamo fare comunicazioni urgentissime alla CONSOB e alla portineria della sede ci hanno detto che lei è il funzionario con le chiavi”. Salito sulla FIAT Croma grigia che attendeva sul marciapiedi, capii immediatamente che era arrivata l’ora delle “successive comunicazioni” poiché nell’auto, oltre all’autista, c’era addirittura l’Amministratore Delegato Cesare Romiti!

In un baleno raggiungemmo l’ufficio, li feci accomodare nella bella e grande sala delle riunioni tutta legno e cuoio preoccupandomi di avvertire immediatamente il Presidente Piga, questa volta visto l’orario direttamente a casa, telefonando discretamente da un’altra stanza. La reazione del Presidente fu lapidaria: “mi raccomando mettili a proprio agio, fai il padrone di casa e riferisci ogni sospiro”.

Così feci e intuii che la permanenza dei vertici FIAT non sarebbe stata breve dagli innumerevoli scambi telefonici per la definizione tecnica dell’uscita libica al punto che Piga mi disse di ordinare una cena fredda al ristorante Savini in Galleria perché si sarebbero fatte sicuramente le ore piccole. Nel frattempo l’operazione di riacquisto, 205.081.800 azioni ordinarie, 88.338.150 privilegiate e 29.341.995 di risparmio cum warrant Comau, prendeva tecnicamente forma fra miriade di fax e telex (le email erano ancora nei sogni!). La stessa FIAT, per mezzo dell’IFI, avrebbe rilevato una importante quota di azioni ordinarie, la Deutsche Bank e Mediobanca, quest’ultima capofila di un consorzio di banche italiane, acquistavano per poi ricollocare presso investitori istituzionali la quota libica ormai passata, per effetto degli aumenti di capitale, al 15% della casa torinese per un controvalore di circa 3 miliardi di dollari, ben 7 volte l’importo originario investito dieci anni prima. Sembrava che tutto procedesse liscio, ma la Deutsche Bank sollevò all’improvviso perplessità nell’intestarsi le azioni con girata diretta della LAFICO poiché all’epoca le azioni erano materiali e le transazioni venivano poi annotate con tanto di nome o ragione sociale dopo l’emissione del “fissato bollato”.

A questo punto, dimenticando forse per un istante di avere davanti il gotha della finanza italiana, azzardai una possibile soluzione per superare l’impasse. Proposi di bypassare la girata diretta grazie all’intermediazione di Mediobanca, che avrebbe fatto “scudo” dai libici intestandosi le azioni per poi girarle immediatamente alla Deutsche Bank. In questo modo sulle azioni FIAT non sarebbe figurato l’acquisto diretto da parte della banca tedesca e tutti sarebbero stati soddisfatti. A Romiti, dopo un rapido sguardo d’intesa con Mattioli, che annuì con un cenno della testa, piacque l’idea da me prospettata e, informata velocemente via Filodrammatici (ora Piazzetta Cuccia) che si rese disponibile, si procedette con questo schema. Ricordo Mattioli fare peripezie attaccato a non so quante cornette di telefono fra Torino, Zurigo, Francoforte, Roma e Milano!

Mentre l’operazione era finalmente chiusa e si confermavano i dettagli con le controparti, Romiti trovò il tempo per farmi una interessantissima quanto inattesa proposta: “Cosa ci stai a fare qui alla CONSOB? Vieni con noi, ti metto nello staff di Mattioli nella direzione finanziaria a Torino e vedrai che farai una gran bella carriera, abbiamo bisogno di giovani svegli come te!” Non vi nascondo che ricevere da un personaggio del calibro di Romiti una proposta del genere, dopo una giornata particolarmente pesante, mi fece un effetto andrenalitico difficilmente immaginabile.

Tuttavia la mia risposta fu secca e immediata: “dottor Romiti sono lusingato della sua offerta anche perché mi sono laureato in economia alla LUISS con una tesi proprio sulla FIAT e credo che qualsiasi altro giovane al mio posto farebbe carte false,  ma una settimana fa ho firmato con l’ENI che mi ha assunto come Direttore della SOFID (Società Finanziamenti Idrocarburi) la Capogruppo finanziaria e prenderò servizio il prossimo 1 dicembre. Anche li cercano giovani, ho dato la mia parola ed andrò da loro”. La reazione stizzita non si fece attendere: “lascia perdere l’ENI, non ti troverai bene, è peggio di un ministero, non avrai minimamente le prospettive che ti possiamo offrire noi. Ti pentirai sicuramente, comunque pensaci perché Mattioli la porta te la lascia sempre aperta”. Ringraziai moltissimo entrambi, ma rifiutai. A mezzanotte richiusi il portone della CONSOB di via Brisa e tornai esausto a piedi nel residence, ma soddisfatto ed appagato per aver fatto la mia piccola parte in quella operazione e per quella allettante proposta di lavoro che certificava che stavo mettendo in pratica i tanti insegnamenti ricevuti e che ero pronto ad aprire le mie ali e volare in alto.

Naturalmente poi quel lunedì 1 dicembre mi presentai puntuale alle 8 di mattina a Piazzale Enrico Mattei 1, ma questa è un’altra storia…


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