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Qualcuno tocchi Caino

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Nella storia di Willy, brutalizzato e ucciso dal branco, c’è un aspetto forse non considerato ancora a sufficienza. Né da coloro i quali vorrebbero una vendetta sommaria e arcaica nei confronti dei colpevoli. Né da coloro i quali invocano lo stato di diritto e la presunzione di innocenza, fino a una sentenza definitiva di condanna. È ovvio, lo diciamo da avvocati, che i primi hanno torto e i secondi ragione. Se rinunciamo alla ragione del diritto e alla lezione imperitura di Cesare Beccaria, allora ci resta solo più la legge della giungla. Senza contare che la prima soluzione evoca tempi in cui la violenza proditoria e senza regole della collettività inferocita faceva “giustizia” anche di persone innocenti.

Però, non ce la sentiamo di fermarci qui. E soprattutto non ce la sentiamo di fermarci allo slogan “Nessuno tocchi Caino”, oggi molto in voga anche, soprattutto tra la classe forense. Lo slogan ha un suo perché, si badi bene. Sia se letto in chiave biblica (è la parola di Dio) sia se letto in chiave giuridica (è la parola della nostra Costituzione). Ma rischia di essere un monito fuorviante se preso in senso assoluto. Va bene non toccare Caino “dopo” che il crimine di Caino si è compiuto. Ma “prima”, anzi “durante”?

In quel ristretto lasso di tempo in cui Caino provvede a perpetrare il suo delitto con protervia, arroganza, disinibizione, ferocia, crudeltà, disumanità? Mentre Caino sta bastonando, picchiando, stuprando e financo uccidendo, è lecito toccarlo? Perché, sapete, è verissimo che la nostra società è probabilmente perduta in un medioevo oscuro di tramonto irrimediabile di ogni valore alto, ancestrale, trascendente. Ce lo ha insegnato Renè Guenon, l’esoterista francese del Novecento, il quale parlava di quest’era come del Kali yuga: l’ultimo tenebroso periodo di un lunghissimo evo di decadenza etica e spirituale. E quindi è vero che abbiamo un problema di cultura e di educazione, con i nostri giovani.

Ma forse dovremmo chiederci se non abbiamo anche un altro problema. Quello di aver omesso di insegnar loro non solo a non essere “cattivi”, ma a saper reagire ai cattivi. E a saperlo fare con il coraggio di Willy. E anche con la forza e la perizia indispensabili per tutelare se stessi, o gli altri, da chi – per vocazione o per predisposizione o per istinto – ama torturare i deboli per sentirsi forte. Episodi come quelli di Willy sono contigui a fenomeni come il bullismo o il nonnismo. E sono proliferati, negli ultimi anni, a causa di un precipizio morale che ha incensato il fisico palestrato, l’estetica narcisista, la forza muscolare come le uniche “virtù” very social.

Dunque, ha reso “virtuoso” – agli occhi di molti, degradati ma coerenti, figli dei tempi – anche il dispiegarsi bestiale, contro gli inermi, di quelle energie vigliacche. Che rappresentano, invece, la somma viltà di un’epoca dove si è perso ogni riferimento alla regale dignità del percorso interiore, al correlato rispetto per il prossimo, a ogni “cavalleresca” formazione del sé.

Ora, per tornare da dove siamo partiti, diciamo che – se Caino non deve essere toccato dopo le sue malefatte – egli può e deve essere toccato “durante”. Un concetto consacrato dal nostro codice penale con la locuzione “legittima difesa”. Se del caso, grazie a un’educazione basata anche sull’insegnamento ben impartito, da maestri autentici, della filosofia, dello spirito, e delle tecniche delle più nobili tra le arti marziali. Così da non lasciare alla mercè dei bruti i nostri ragazzi e le nostre ragazze se, e quando, giunge il momento in cui poter toccare Caino non offende né Dio né la Costituzione.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com


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