Attualità
L’art. 94 della Costituzione: il pilastro della partitocrazia
di Davide Gionco
01.08.2019
Montesquieu, uno degli ideologi della moderna democrazia, definì il principio della separazione dei poteri dello stato, il potere legislativo, il potere esecutivo ed il potere giudiziario.
Per secoli erano esistite le monarchie assolute, in cui questi 3 poteri erano riuniti nella persona del re.
In “demo-crazia” (governo del popolo) la separazione dei poteri è incentrata sul parlamento, eletto dal Popolo, il quale determina le leggi, che gli altri due poteri sono tenuti ad applicare. Il potere esecutivo, ovvero il governo, attua le leggi offrendo ai cittadini tutta una serie di servizi “pubblici”. Il potere giudiziario, ovvero la magistratura, attua le leggi dirimendo le controversie fra cittadini, nei casi in cui le leggi siano violate.
Nella visione di Montesquieu non era previsto che il governo facesse le leggi, né tantomeno che il governo ed il parlamento avessero voce in capitolo sulla magistratura.
In Italia dobbiamo constatare che da molto tempo il principio di separazione dei poteri è fortemente disatteso.
Permettete di non discutere delle gravi interferenze della politica nella formazione del Consiglio Superiore della Magistratura, per le quali c’è un processo in corso. Si tratta qualcosa che agli occhi di tutti noi cittadini è visto come un’aberrazione e ci auguriamo che la riforma della Giustizia in discussione in Parlamento ponga fine a questi soprusi.
Molto più grave e sistematica la violazione della separazione fra potere legislativo del parlamento e potere esecutivo del governo.
Da molte legislature la maggior parte delle leggi sono di iniziativa governativa, non parlamentare.
Oggi a decidere le leggi da approvare sono quasi sempre i leader politici Luigi Di Maio e Matteo Salvini, così come prima lo decidevano i vari Renzi, Berlusconi, ecc.
Se il parlamento intendesse approvare una legge contraria alla posizione di un leader di partito che sta al governo, è fortemente probabile che si arrivi ad una crisi di governo.
Si ritiene “naturale” che nell’alleanza di governo le decisioni del governo debbano corrispondere alle decisioni del parlamento.
I leader di partito impongono la loro volontà non solo in funzione del numero di deputati in parlamento, ma anche in funzione dell’andamento dei sondaggi politici ovvero della possibilità di far cadere il governo per ritornare ad elezioni, trasformando il successo nei sondaggi in un cambiamento dei rapporti di forze in parlamento.
Chiediamoci in tutta sincerità se queste “consuetudini” siano conformi alla Costituzione, la quale dice chiaramente all’art. 1 che “la sovranità appartiene al popolo“.
La Costituzione non dice che la sovranità appartiene ai partiti.
Se la sovranità appartiene ai partiti, e non al popolo, tramite i parlamentari eletti, le varie lobbies di potere non dovranno più “fare la fatica” di condizionare le decisioni di 1000 parlamentari, ma potranno perseguire i loro obiettivi (di parte, ovviamente) condizionando le decisioni dei pochi leader dei partiti di governo.
E il popolo non si potrà opporre, in quanto alle elezioni si presentano candidati legati ai partiti.
E i deputati eletti non si potranno opporre, se no alle successive elezioni non verranno più candidati dai partiti.
Le ultime leggi elettorali, più o meno incostituzionali, sono state tutte scritte con l’obiettivo di garantire l’elezione di deputati “docili” agli ordini del leader del partito e con l’obiettivo di garantire la formazione di una “stabile” maggioranza di governo.
Sono certo che la maggior parte dei lettori ritiene che la “governabilità” e la “stabilità della maggioranza di governo” siano dei valori politicamente da perseguire.
A mio giudizio la distorsione costituzionale di cui siamo testimoni, che spesso ha portato alla caduta dei governi (Salvini è solo l’ultimo dei leader di partito a fare politica minacciando la caduta del governo in carica, dopo i vari Craxi, Bossi, Bertinotti, Mastella…), è originata da un errore dei padri costituenti, i quali scrissero nell’art. 49 della Costituzione:
“Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.
Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale.
Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia.
Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni.
La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.”
Questo articolo crea un vincolo “politico” fra una stabile maggioranza parlamentare, nata dall’accordo fra i partiti, ed il mantenimento in carica del governo nel suo insieme.
Questo significa che i parlamentari non sono liberi di esprimere il proprio parare, eventualmente costituendo maggioranze variabili caso per caso, ma che devono sottomettere le proprie decisiono al “programma di governo”, costituito da un “insieme di leggi” che i partiti al governo intendono far approvare dal parlamento.
Ora: se il governo decide le leggi che deve votare il parlamento, non esiste più la separazione di poteri fra parlamento e governo ed i partiti acquisiscono un potere smisurato e non previsto dalla Costituzione, né da Montesquieu.
Eppure non è affatto inevitabile che si debba fare in questo modo.
Nella vicina Svizzera, le elezioni politiche servono ad eleggere i deputati, ma i deputati non votano mai la fiducia ad un governo nel suo insieme.
Ogni ministro riceve una fiducia individuale e resta in carica per un tempo determinato e non coincidente con la durata del parlamento.
Quindi, ad esempio, un ministro può ricevere la fiducia durante questa legislatura del parlamento e poi restare in carica per qualche anno durante la legislatura successiva.
I ministri ricevono generalmente un’ampia maggioranza, in quanto i partiti si sforzano di proporre delle personalità che per serietà e competenza possano meritarsi la fiducia anche delle altre forze politiche.
In questo modo il governo risulta essere formato da persone che rappresentano il parlamento nel suo insieme, provenienti da diversi partiti.
E non solo: periodicamente i 7 ministri incaricati ridefiniscono i propri incarichi. Sostanzialmente ogni anno la Svizzera cambia il proprio “primo ministro”.
Non esistendo una “maggioranza di governo” che deve sostenere il governo, il parlamento è libero di legiferare senza doversi attenere ad un “programma di governo”.
Di conseguenza anche i parlamentari sono molto più liberi di votare secondo coscienza e facendo riferimento alla fiducia degli elettori che li hanno votati, più che alla “disciplina di partito”.
Caso per caso il parlamento vota, a maggioranza, le proprie leggi.
Il governo riceve queste leggi ed è tenuto ad eseguirle, come suo compito di “potere esecutivo”.
Il potere delle segreterie di partito ne risulta fortemente ridotto.
Anche perché la legge elettorale prevede la possibilità che delle persone si candidino come “indipendenti”, le quali vengono votate dagli elettori proprio in virtù della loro “indipendenza” dai partiti.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, questi meccanismi garantiscono una forte stabilità di governo del paese, che è peraltro una delle ragioni (insieme alla bassa tassazione) che portano molte multinazionali a stabilire in quel paese la loro casa madre.
Le leggi votate dal parlamento sono la reale espressione della rappresentanza popolare, il popolo generalmente non cambia “di colpo” opinione su di una certa questione, per cui raramente accade che vengano approvate leggi in totale contrasto con quelle precedenti.
Cosa che invece succede spesso nei paesi in cui esiste il sistema maggioritario, che porta a brutali cambi di maggioranza di governo da una elezione all’altra.
Pensiamo solo a cosa è successo in Italia con le varie riforme della scuola, in cui ogni governo proponeva una propria “riforma” in contrasto con quella del governo precedente.
Al fine di ridurre il potere della partitocrazia in Italia e di assicurare una maggiore stabilità politica al paese sarebbe quindi bene che l’art. 94 della Costituzione fosse riformato, ad esempio in questo modo:
“I membri del Governo devono ottenere la fiducia delle due Camere, con una maggioranza qualificata del 75% dei votanti .
I membri del governo sono 15, restano in carica 5 anni. Ogni 4 mesi termina il mandato di uno dei ministri, secondo l’ordine stabilito, che deve essere sostituito da un nuovo ministro, tramite nuovo voto di fiducia delle Camere.
Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia al ministro mediante mozione motivata e votata per appello nominale.
La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.“
In parallelo sarebbe buona cosa che la legge elettorale rimettesse al centro il principio di rappresentazione del popolo e non gli interessi dei partiti a “formare maggioranze” o a “governare”.
Il ruolo dei partiti, come previsto dalla Costituzione, dovrebbe essere solo quello di proporre agli elettori una visione progettuale del paese e della società, presentando candidati in grado di attuarla.
Sarebbe anche interessante prevedere la possibilità che dei candidati si presentino, dopo aver raccolto un numero congruo di firme, anche senza dover necessariamente trovare spazio nelle liste di un partito. In questo modo l’eletto renderà conto agli elettori e non al segretario di partito.
Ricordiamoci sempre che Demo-crazia è altra cosa rispetto alla Partito-crazia e che tanto più i centri decisionali si allontanano dagli elettori (i parlamentari sono più vicini dei segretari di partito), tanto più i poteri politici saranno soggetti alle influenze delle lobbies e meno al controllo degli elettori.
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