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L’accordo per le regole di bilancio della UE? “Una cessione alla pressioni tedesche”. Parole di Financial Times

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Pare che, con una banale video conferenza, i ministri delle finanze della UE abbiano raggiunto l’accordo per la riforma delle norme di bilancio della UE, e l’abbiano fatto imponendosi duri vincoli per la riduzione del debito. Una  sottomissione alla Germania, e non lo diciamo noi, ma  lo dice il Financial Times:

I ministri delle finanze dell’UE hanno ceduto alle pressioni tedesche per ottenere regole severe di riduzione del debito, nell’ambito di un accordo per l’introduzione graduale di una revisione radicale del quadro di bilancio dell’Unione.
Dopo mesi di mercanteggiamenti, il pacchetto conferisce agli Stati membri dell’UE una maggiore indipendenza nel concordare con Bruxelles i piani di debito e di deficit, ma solo entro gli stretti limiti di spesa richiesti dai falchi fiscali.

 

Se perfino un giornale internazionale come il FT vede questo piegarsi alla Germania e al suo desiderio di austerità e di riduzione del debito, francamente insensato in un momento di caos internazionale, di riequilibrio dei poteri e di  deindustrializzazione e crisi demografica europea, qualcosa di vero deve esserci. Tra la sopravvivenza anche, letteralmente, genetica e la riduzione dei debito. Saremo estinti, ma senza debiti, e nel nulla arriveremo con il cuore leggero.

Ovviamente, come dice il ministro delle finanze (dimissionario) Sigrid Kaag, i è ottenuta una “riduzione del debito ambiziosa” e l’ambizione è la rovina degli uomini, soprattutto poltici. “Questo accordo prevede regole fiscali che incoraggiano le riforme, lasciando spazio agli investimenti e adattandosi alla situazione specifica dello Stato membro in questione”.

Il compromesso concordato tra gli Stati membri dell’UE si basa sulle proposte originali della Commissione Europea, che ha cercato di dare ai Paesi una maggiore indipendenza nella definizione dei piani di riduzione del debito.
In base al quadro normativo, la Commissione elaborerà piani di spesa nazionali per quattro anni, in modo da garantire che il debito sia avviato verso un percorso di riduzione. I Paesi possono estendere questi piani fino a sette anni impegnandosi a realizzare riforme che favoriscano la crescita, ma, a questo punto, gli stati democratici appaiono più che altro degli ospiti e dei lobbisti nei confronti di una commissione che decide lei il piano di riduzione dei debiti e le spese.

Alla fine il principio di “Nessuna tassa senza rapprensentanza”, caro ai rivoluzionari americani e alla base della democrazia moderna, viene praticamente messo da parte, superato dal peso dei burocrati di Bruxelles e dei criteri vecchi e nuovi.

Due parametri fiscali, inclusi nei trattati UE, rimangono invariati: un rapporto debito/PIL del 60% e un limite di deficit annuale del 3%. I ministri hanno deciso di eliminare il requisito separato di ridurre il debito in eccesso del 5% all’anno.
Per migliorare l’applicazione, i ministri hanno deciso di introdurre un tetto di spesa annuale che diventerà il principale parametro di riferimento utilizzato per valutare la conformità di un paese al suo piano fiscale.

Questi piani saranno affiancati da due “salvaguardie” aggiunte per volere di un gruppo di paesi guidati dalla Germania, che ha criticato le proposte della Commissione ritenendole troppo permissive.
I Paesi con un rapporto debito/PIL superiore al 90% dovranno ridurre il debito in eccesso di un punto percentuale all’anno per tutta la durata del loro piano di spesa nazionale.

Questo obiettivo viene dimezzato per i Paesi con un rapporto debito/PIL superiore al 60% ma inferiore al 90%, cioè… la Germania, anche con i Fondi speciali portati a debito.

Esistono ulteriori obiettivi di bilancio per i Paesi con deficit superiori al 3% e con un rapporto debito/PIL superiore al 60%. Questi ultimi devono puntare a ridurre il deficit all’1,5% del PIL con limitazioni annuali della spesa. L’accordo prevede un inasprimento delle sanzioni: i Paesi che non raggiungono gli obiettivi del piano di spesa rientrano nella cosiddetta procedura per i disavanzi eccessivi, che li obbliga a ridurre la spesa dello 0,5% del PIL all’anno.

Questo significa che l’Italia dovrà effettuare circa 19 miliardi di surplus di bilancio  primario, al netto degli interessi, di 19 miliardi di euro , per permettere di ridurre il capitale. Calcolando che è previsio un deficit primario di circa  30 miliardi nel 2023 potete capire che razza di tagli sarà necessario fare nel bilancio. Il tutto senza neanche l’aiuto dell’inflazione, che taglia il debito reale, ma con una possibile deflazione da mancanza di

Con queste norme i bilanci dei prossimi anni saranno un vero e proprio tormento politico: qualsiasi sia la maggioranza, comunque non ci saranno risorse e o si aumenteranno le tasse o si taglieranno i servizi, tertium non datur. Ovviamente questo condurrà a macinare, politicamente, qualsiasi maggioranza, di fronte a un’opinione pubblica che sentirà  sempre più duramente un progressivo impoverimento economico del paese.

Però oggi sono tutti contenti per aver ceduto alla Germania e alla Commissione.  Contento il ministro, contenti tutti.

 


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