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La UE impone il dimezzamento della produzione agricola in Pianura Padana e nelle Puglie. Povertà per gli agricoltori e fame per tutti

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Viene da chiedersi che cosa ci sia nella testa dei burocratici, e di certi pessimi politici, di Bruxelles e quale obiettivo vogliano perseguire.

Immaginate di vedere la Pianura Padana senza i suoi vasti campi di mais e grano tenero e il Tavoliere delle Puglie senza la sua caratteristica distesa di spighe di grano duro ondeggiante al vento. Eppure questa è l’involuazione futura dell’agricoltura italiana, secondo quanto riportato dal Corriere (per cui possiamo crederci, sono i più europeisti di tutti).

A partire dal 2024, ogni anno si dovrà fare i conti con questo cambiamento, per cui non si potrà proseguire con la coltivazione dell’anno precedente. Quindi se un anno si è prodotto mais, l’anno dopo si dovrà produrre qualcosa di diverso, anche se non economicamente conveniente e se la domanda del mercato (cioè quello che voi mangiate) è diverso. Quindi la produzione del grano duro per la pasta nella Puglia rischia di dimezzarsi, e quella del mais e del grano tenero della Pianura Padana pure. Il tutto deciso da gente che non ha mai visto un capo in vita loro…

La colpa è del distacco dalla cosiddetta pratica di monocoltura stabilita da Bruxelles, un obbligo di rotazione delle colture previsto dalla nuova Politica Agricola Comune dell’Unione Europea, in nome della protezione ambientale e della sostenibilità. Produrre sempre le stesse colture minaccia la biodiversità e impoverisce il suolo, ma smettere improvvisamente mette a repentaglio l’equilibrio economico delle aziende agricole e di tutta la filiera. Il grano duro è essenziale per la produzione di pasta e il mais per l’allevamento degli animali, e di conseguenza per la produzione di carne, che a sua volta restituisce al terreno sostanze organiche preziose. Perché nelle esperte teste di Bruxelles si sono dimenticati che proprio il letame viene utilizzato per arricchire i campi. Ma cosa volte che ne sappia uno che vive nella “Bolla europea” della realtà dei campi.

“L’Unione Europea, come al solito, si preoccupa più dell’ambiente che del mercato,” spiega Vincenzo Lenucci, responsabile dell’Area Economica e del Centro Studi di Confagricoltura. “Non è facile cambiare le colture, specialmente quando le aziende hanno contratti con i fornitori che richiedono quantità specifiche di grano, e improvvisamente si trovano a produrne la metà.” La soluzione più ovvia per gli agricoltori, se non ci saranno deroghe ulteriori alle nuove regole, è dividere i loro terreni, destinando metà alla coltivazione storica un anno e l’altra metà l’anno successivo. Il risultato? Una raccolta dimezzata per entrambi gli anni, per cui avremo una sorta di carestia causata per via legislativa.  La seconda opzione è anche la più improbabile, non rispettare la norma rinunciando al pacchetto di incentivi comunitari che ammonta in media a 150 euro per ettaro di grano nel Tavoliere delle Puglie e a 200 euro o poco più per ettaro di mais nella Pianura Padana.

Questi cambiamenti avranno un impatto significativo sulle grandi pianure italiane, sia al Nord che al Sud, con il mais come coltura predominante in tutto il Nord, dal Piemonte alla Lombardia e al Veneto, e il grano duro come coltura caratteristica del Sud, dalla Puglia alla Sicilia. Ovviamente qualcuno riderà: i grandi produttori di mais e grano americani, che esporteranno i propri prodotti coltivati infischiandosene delle norme della Comunità Europea.


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