Attualità
La plastic tax e l’impatto ambientale
Eh sì…
Abbiamo un governo ecologista, che ha a cuore l’ambiente!
E infatti è stato proposto di inserire nella prossima legge finanziaria la tassazione degli imballaggi di plastica.
La tassazione proposta è di 1,00 €/kg, un euro per ogni kg di imballaggio di plastica.
Il provvedimento dovrebbe entrare in vigore dal mese di maggio 2020.
Quindi il prezzo della bottiglietta d’acqua passerà da 0,50 € a 0,51 €.
Un aumento del 2% in termini inflazionistici, ma nulla che possa incentivare i produttori di acque minerali a cambiare il tipo di “imballaggio” per il loro prodotto, né i consumatori ad acquistare acqua in altre forme, tipo le bottiglie di vetro.
In sostanza si tratta di un provvedimento che, per ragioni del costo delle alternative, non cambierà le abitudini né dei produttori, né dei consumatori.
I produttori continueranno a imbottigliare l’acqua nelle bottiglie di PET.
I consumatori continueranno ad utilizzarle e a smaltirle come già fanno oggi, chi riciclandole (per senso civico), chi gettandole illegalmente nell’ambiente.
Non vi è alcun incentivo al riciclaggio della plastica, come ad esempio avrebbe potuto essere la messa in atto di un sistema di recupero dei vuoti a rendere in plastica, che esiste in Germania già dagli anni ’90.
I nostri governi, incatenati dalle politica di austerità imposte dall’Unione Europea, sono sempre ben propensi ad aumentare le tasse, ma molto poco propensi ad aumentare gli investimenti, anche se questi fossero necessari per preservare l’ambiente.
Dobbiamo infatti tenere conto di: maggiore consumo per il trasporto delle bottiglie vuote di vetro fino agli stabilimenti di imbottigliamento, quindi per il trasporto dagli stabilimenti ai supermercati, e poi dai supermercati alle case dei consumatori, e poi dalle case dei consumatori agli stabilimenti di riciclaggio del vetro e, infine, dal mantenimento in temperatura dei forni di rifusione del vetro.
Se si tassano gli imballaggi in plastica, è possibile che il mercato si adegui, riducendo gli imballaggi o usando imballaggi di altro materiale (carta, vetro, metalli). Ma è improbabile che in soli 5 mesi -tanti sono concessi- le imprese riescano ad adeguarsi, progettando nuovi sistemi di imballaggio ed acquistando nuovi macchinari dedicati.
Queste tempistiche evidenziano come l’obiettivo principale non sia modificare i comportamenti di imprese e consumatori, ma soprattuto sia quello di “fare cassa” per le disastrate finanze dello Stato.
Se si intende spingere le imprese a modificare i loro comportamenti, è necessario fissare un piano pluriennale (almeno 5 anni) di aumento progressivo delle imposte sugli imballaggi, in modo che le imprese possano fare i loro calcoli per pianificare i loro investimenti.
Aggiungere una imposta da da un giorno all’altro, lasciandola poi costante nel tempo, e con un impatto di costi troppo basso per portare a dei cambiamenti è solo una misura per “fare cassa”, non un incentivo a dei cambiamenti ecologici.
La tassa farebbe aumentare il prezzo del pacchetto di sigarette di ben 0,001 €, il che non scoraggerebbe né i venditori di sigarette, né tantomeno i fumatori dal buttare a terra il pacchetto di sigarette (oltre alle cicche che per il governo non inquinano e non vengono tassate o rese obbligatoriamente biodegradabili).
Ma non ci vogliono grandi competenze tecniche (di cui un governo può peraltro disporre) per comprendere che la misura proposta della tassazione degli imballaggi è totalmente inadeguata.Prima tutto il problema dell’inquinamento non è causato dall’uso della plastica, ma dal suo mancato riciclaggio e dalla sua dispersione in ambiente.
Infatti una volta che il consumatore ha acquistato l’imballaggio tassato, al prezzo di pochi centesimi, non avrà alcun incentivo a smaltirlo correttamente anziché gettarlo in ambiente, soprattutto se non è culturalmente motivato a farlo.Se guardiamo questa mappa del mondo in cui si evidenziano i fiumi che più di tutti contribuiscono all’immissione di plastica nei mari, è del
tutto evidente che la causa non sono gli imballaggi di merci in Europa ad inquinare i mari.
E se guardiamo al nostro Mar Mediterraneo, scopriamo che l’inquinamento da plastica arriva soprattutto dai paesi che, per motivi culturali ed economici, non riciclano i rifiuti.
Se l’Italia voleva fare qualcosa di concreto, quindi, doveva casomai incentivare il riciclaggio degli imballaggi ed instaurare dei rapporti di cooperazione con paesi come Montenegro, Abania, Egitto, Turchia per progetti di questo tipo.
Tassare gli imballaggi in Italia, invece, non serve a nulla, se non a “fare cassa”.
D’altra parte non possiamo aspettarci moto di meglio da una classe politica che si informa principalmente sui mezzi di informazione “mainstream”, i quali puntano molto alle immagini ad effetto, più che ad una informazione corretta.
Informandosi con maggiore profondità avrebbero scoperto che i problemi non derivano solo dagli imballaggi usa e getta, ma più in generale dalla mancanza di una cultura diffusa di responsabilità sullo smaltimento dei rifiuti di qualsiasi genere.
Perché i pescatori lasciano le vecchie reti in mare, senza smaltirle correttamente?
Eppure basterebbe un piccolo incentivo sulla restituzione delle vecchie reti per evitare fenomeni del genere.
Se i nostri politici si fossero un minimo informati, avrebbero scoperto che il problema maggiore non è costituito dai grandi imballaggi in plastica, ma dalle microplastiche, che derivano dalla frantumanzione di oggetti in plastica di ogni genere, gettati nei fiumi o nei mari e lì rimasti per anni ed anni.
Ma soprattutto avrebbero scoperto che il pericolo maggiore deriva dalla microfibre di plastica, di dimensioni comprese fra 0,33 mm e 1 mm provenienti principalmente dalle nostre lavatrici domestiche, dallo sfibramento nei nostri abiti fatti con tessuti sintentici (acrilico, neoprene, poliestere, nylon, ecc.).
Si tratta di filamenti che non sono trattenuti dagli impianti di depurazione delle città, talmente piccoli da entrare nela catena alimentare marina, fino ai predatori primari che siamo noi, mangiatori di pesci.
Perché non tassare o addirittura vietare l’uso di fibre sintetiche nell’abbigliamento? In questo settore le alternative “naturali” non mancano, potendo usare cotone, lino, lana, ecc.
E poi: perché non tassare i troppi prodotti usa-e-getta, a partire dagli elettrodomestici prodotti usando le tecniche dell’obsolescenza programmata?
Quanta energia e quante emissioni inquinanti di ogni tipo, quante guerre (a volte) per arrivare a produrre una lampadina, un phon, una televisione, un computer, un cellulare… Ma i produttori, per poterci vendere nuovi prodotti, le progettano in modo che cessino di funzionare dopo poco tempo, obbligandoci a dismetterli per acquistarne di nuovi, generando inutilmente rifiuti.
L’ecologia e la preservazione dell’ambiente sono una cosa seria!
Non si può affrontare il problema con provvedimenti-spot improvvisati, senza un approccio globale che prima di tutto parta dall’educazione nelle scuole, ma anche tramite le tv pubbliche, passando dalla maggiore responsabilizzazione delle imprese, dalla messa in atto del riciclaggio sistematico di rifiuti in tutto il mondo (perché i rifiuti non hanno confini), dalla promozione di elettrodomestici riparabili e di lunga durata e, in generale, dalla valutazione dell’impatto ambientale delle varie attività umane.
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