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La Corte dei Conti ignora… la contabilità pubblica!

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Quanto sia forte il condizionamento mediatico sulle menti, anche dei professionisti, è sempre più evidente.

Nella giornata di ieri abbiamo avuto uno degli esempi più clamorosi di tale circostanza. All’inaugurazione dell’anno giudiziario il Presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri, nonostante il proprio ruolo, ha dimostrato di non comprendere minimamente il concetto di contabilità pubblica e le cause della crisi economica.

Il Presidente, in particolare, ha rilasciato la seguente sconcertante dichiarazione: “Corruzione devastante per la crescita” ed ancora “Crisi economica e corruzione procedono di pari passo, in un circolo vizioso, nel quale l’una è causa ed effetto dell’altra”. La dichiarazione è completamente errata e totalmente incoerente con la realtà.

Ribadiamolo ancora una volta, la corruzione non ha alcun collegamento con la crisi economica e non è correlata ad essa da vincoli di causa od effetto. La corruzione è certamente un crimine, a mio avviso sicuramente grave, benché in generale non condivida affatto la schizofrenia del nostro sistema sanzionatorio che sovente punisce più severamente i reati contro il patrimonio che quelli, decisamente più gravi, contro la persona. La vita è insostituibile, il denaro è una semplice unità di misura creata dal nulla. I due beni non sono paragonabili quanto a valore.

Il corrotto ovviamente non mina in alcun modo la crescita del paese. Anzi, se il corrotto spende i propri soldi in Italia, a livello macroeconomico il suo comportamento è completamente neutro. Non aumenta ne riduce la ricchezza nazionale. Questo accade perché il corrotto non brucia la mazzetta nel camino ma ovviamente utilizza quel denaro, lo spende. Non vi sono dimostrazioni scientifiche circa il fatto che la corruzione aumenti la propensione media al risparmio. Casomai esiste l’evidenza opposta: maggiori sono i soldi disponibili più sciolti si è nelle proprie spese.

Il Presidente della Corte evidentemente ignora che l’unico dato che si pone in rapporto di causa effetto con la crisi è il vincolo del 3% sul deficit annuo rispetto al PIL approvato con l’allegato 12 al Trattato di Maastricht. In sostanza con tale vincolo l’Italia si è impegnata, ormai da vent’anni, a tassare più di quanto spende. L’effetto di tale politica è ovviamente quella di ridurre la moneta a disposizione dell’economia reale che può tamponare la caranza di liquidità solo aumentando il proprio debito privato, come noto noi cittadini non creiamo moneta ma possiamo usare e guadagnare solo quella esistente, oppure chiederla in prestito (comportamento che certamente non ci arricchisce).

Nello specifico, l’Italia spende per interessi sul debito più del 3% del proprio PIL. Dunque la spesa in deficit disponibile in forza del citato vincolo viene utilizzata unicamente per pagare speculatori stranieri. A quel punto lo Stato ottiene le risorse necessarie solo recuperando attraverso la tassazione una quantità di moneta superiore a quella immessa attraverso il canale della spesa pubblica. In sostanza è come se, giocando a Monopoli, ad ogni passaggio dal via doveste pagare anziché prendere moneta. Tutti i giocatori finirebbero con il fallire.

La Corte dei Conti dovrebbe preoccuparsi di comprendere la contabilità pubblica che il nostro modello Costituzionale ben specifica. L’art. 47 Cost. impone allo Stato di incoraggiare e tutelare il risparmio in tutte le sue forme e ciò al fine di raggiungere il proprio scopo, quello su cui si fonda la Repubblica, ovvero la piena occupazione (Art. 1 Cost.)

Tale risparmio è ottenibile solo ed unicamente attraverso politiche di deficit dello Stato, in quanto se lo Stato drena risorse ogni anno, nessun altro può crearle ed il risparmio, specialmente quello diffuso, diventa scientificamente impossibile. Solo alcuni esportatori potrebbero giovarsi nel breve periodo degli effetti deflattivi dell’abbattimento della moneta circolante. Ovviamente vi chiederete, e come facciamo il deficit? Ancora una volta è la Costituzione ad imporci il modello: “attraverso la disciplina, il coordinamento ed il controllo del credito” ancora art. 47. Ovvero attraverso la piena sovranità monetaria ed economica (sovranità non cedibili ma nonostante ciò cedute in violazione art. 1 ed 11 Cost.).

Ovvero lo Stato deve finanziarsi in autonomia, con una propria Banca Centrale come avveniva ante divorzio del 1981 e gestire sovranamente le proprie politiche di piena occupazione. Oggi nonostante la deflazione, BCE non emette moneta (i Trattati lo vietano) per incentivare la spesa degli stati e ridurre la pressione fiscale, ciò la dice lunga su quanto siano folli le politiche UE.

In tutto questo la corruzione non ha alcun ruolo. Anzi il livello di pressione fiscale ha ridotto i margini degli imprenditori che invece di pagare tangenti hanno cominciato a denunciare chi le chiede come ci ha insegnato la vicenda di mani pulite. L’Italia muore di avanzo primario e muore nonostante un livello di corruzione, proprio dovuto alla crisi, ben più basso rispetto ai momenti in cui l’economia cresceva vigorosamente.

Se non comprendiamo la contabilità pubblica la recessione continuerà come provano i dati macroeconomici peggiorati drasticamente dall’inizio delle politiche di austerità, politiche con cui si è esponenzialmente aumentato il debito pubblico e ridotto il PIL.

Come dice Antonio Maria Rinaldi, riprendiamoci le chiavi di casa. 

www.riscossaitaliana.it


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