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Il futuro si può cambiare. Se non ora quando? (di Indira Fabbro)

questo è il momento di cambiare. Se non ora, quando?

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L’andamento dell’economia italiana sembra non cambiare mai e i dati confermano una sostanziale stagnazione con una crescita bassa: negli ultimi cinque anni, la media è scesa allo -0,60% …Forse nel 2030 recupereremo il PIL che avevamo nel 2008.

Guardiamo alcuni dati che comunque sono parziali: circa 1/4 del PIL privato italiano è sostanzialmente legato alle attività di commercio e turismo, quindi circa 1/4 del valore aggiunto italiano.
Il calo del fatturato previsto tra il 2019 e il 2020 è del 47% nel settore alberghiero, un calo del 51% delle agenzie di viaggi, un calo del 39,8% nel settore di fiere e convegni, del 39% sulla gestione dei parcheggi e del 38,1 % delle strutture ricettive alberghiere. Ma la crisi economica in atto non è solo frutto di questo anno di pandemia ma il risultato di anni di gestione politica economica senza una programmazione e raggiungimenti di obiettivi di crescita a lungo tempo.

I problemi sono i soliti: rigidità strutturali, la disoccupazione cronica , innovazione e competitività  al di sotto della media europea, il prodotto interno lordo (Pil) pro capite fermo su valori di fine anno 2008, un debito pubblico che continua a crescere costantemente, il sistema bancario sempre in grave difficoltà e ciò porta ad un aumento dei rischi per l’economia e per le finanze pubbliche. Secondo le agenzie di rating, le prospettive macroeconomiche e di finanza pubblica sono preoccupanti e i rischi politici e l’economia sono sempre più esposti a potenziali shock avversi.

E cosa accadrà nella prossima decade ? Uno sguardo strategico ai prossimi dieci anni lascia pochi dubbi: Il futuro si può cambiare, se non ora, quando? L’inerzia è forte: i prossimi anni saranno caratterizzati da rischi politici sempre più elevati e crescita economica moderata. Nel lungo periodo, l’Italia potrebbe accettare di fatto lo status quo della leadership tedesca innescata da questo anno di pandemia: il nostro Paese, in assenza di riforme importanti, ha iniziato una progressiva condivisione dei rischi a livello Europeo, con un processo lento e implicito. Allo stesso tempo l’Unione Europea ha iniziato a fare una riflessione seria di riforma, una riforma per migliorare la competitività a lungo termine e ad attrarre investimenti, aumentando la crescita potenziale nei confronti di USA e paesi asiatici (in primis la Cina). In questo panorama, la politica sia nazionale che europea dovrà fin da subito, imparare di nuovo a dialogare con chi crea il lavoro: gli imprenditori, coloro che per troppo tempo sono rimasti soli e ancor di più dopo questo “anno nero” di pandemia. Sarà perciò necessario che si torni ad ascoltare le loro richieste con maggiori dialoghi e collaborazioni pratiche, a prendere decisioni in tempi brevi, a sburocratizzare la pubblica amministrazione, tutto ciò orientato al bene comune ed allo sviluppo sociale ed economico per le imprese e per il territorio.

Indira Fabbro


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