Attualità
Il consumatore moderno: collaboratore dell’azienda che cerca esperienze di consumo (di Romina Giovannoli)
Con l’avvento del web, dei media digitali e delle interfacce tecnologiche è cambiato il rapporto tra le imprese e i consumatori. Oggi, il consumatore che dialoga sulla e con la marca negli ambienti digitali è diventato “prosumer”, ovvero ha raggiunto un ruolo attivo nella produzione di contenuti e beni dei quali fruirà.
Il web 2.0 ha messo marca e consumatore sullo stesso piano in cui la marca abbandona le tecniche della propaganda per quelle del dialogo e il consumatore esprime suggerimenti e desideri in modo esplicito nei luoghi digitali che la marca ha reso disponibili ( per esempio fanpage Facebook o brand community). Quindi per la marca diventa importante nei luoghi digitali, come dice Federico Capeci, CEO Kanter Insights Division, adottare lo S.T.I.L.E. 2.0:
- S – Socialità: deve creare e favorire aggregazioni intorno ad una passione, un interesse o anche al prodotto stesso.
- T – Trasparenza: non deve fare propaganda ma dialogare, rendendo evidenti i propri obiettivi, ammettendo gli errori se necessario ed accettando, anche proponendo, lo scambio vero.
- I – Immediatezza: deve proporre progetti concreti, visibili e straordinariamente attuali; ma non solo, deve reagire rapidamente ad ogni cenno di disappunto del consumatore.
- L – Libertà: non costringe alla fedeltà, non chiede promesse di lungo periodo, ma accetta il giudizio sul campo e si conquista la fiducia giorno dopo giorno, accettando le fughe provvisorie ponendosi l’obiettivo di riconquistare il proprio “collaboratore”.
- E – Esperienza: la marca che è seller (venditore) può diventare publisher (editore), offrendo, negli ambienti digitali e fuori, emozioni, gioco, contenuti e intrattenimento in modo personalizzato, dove anche l’atto di scegliere e consumare deve diventare per il consumatore un momento di immersione totale nel sistema di marca e di partecipazione.
Questa nuova dinamica interattiva tra azienda e consumatore pone le basi dell’Economia dell’Esperienza che mette al centro di tutto il rapporto tra azienda (experience stager) e cliente (guest). Diventando experience stager marca e azienda rispondono a un bisogno implicito (spesso nemmeno tanto) delle persone. Ciò fa affermare il marketing esperienziale: non si vende solo il prodotto, ma anche l’esperienza che ne scaturisce. Quindi in un mercato sempre più saturo, dove i prodotti sono sempre più simili e il consumatore sempre più evoluto e meno fedele alla marca, l’azienda deve spostare l’attenzione del consumatore sull’esperienza di consumo. Deve diventare fornitrice di emozioni ed esperienze come dicono Pine e Gilmore deve diventare una vera e propria “regista di esperienze”. Per cui diventa molto importante personalizzare l’offerta e instaurare una relazione con il cliente che non acquista solo il prodotto ma anche l’esperienza che ne può trarre.
Da tenere presente che il consumatore non è solo razionale nelle scelte d’acquisto ma motivato anche da fattori emotivi che spingono a cercare esperienze d’acquisto che siano coinvolgenti e piacevoli; quindi non è solo interessato alla massimizzazione dell’utilità d’acquisto, ma a soddisfare i suoi bisogni e desideri. Il cliente cerca continuamente le esperienze di acquisto che lo coinvolgano e lo rendano protagonista della scelta che ha fatto. L’esperienza è sempre in primo piano al punto da aversi una food experience quando si va al ristorante e si gode del servizio di una buona cucina; una wine experience quando si gusta un buon bicchiere di vino, una travel experience quando si fa un viaggio piacevole; una driving experience quando si guida una vettura performante arricchita da alcuni servizi aggiuntivi di prestigio offerti dal concessionario; elenco che potrebbe continuare all’infinito.
Per tutte queste ragioni marca e azienda devono passare da uno stato di product-mindset e dalla relativa visione prodotto centrica (product space) all’experience space, uno spazio simbolico dove le persone partecipano alla progettazione delle esperienze che andranno a vivere come consumatori. Ogni experience space può essere visto come un nodo di un network composto da interazioni non lineari né sequenziali tra aziende e marche che fa diventare il mercato un experience environment che permette a ogni persona di agire ed attuare un’interazione unica, personalizzata, irripetibile in quando chiamata a co-creare la propria esperienza.
Da notare anche che la diffusione delle tecnologie di mobilità ha determinato lo sviluppo della shared experience, cioè la capacità dei consumatori di condividere tra di loro emozioni e sensazioni provate, in una parola esperienze, dando vita a processi di confronto sociale che alimentano il valore di una marca.
Come dicono Rose e Johson: “ Non è solo come i consumatori stanno cambiando – ricercando, passando in rassegna, acquistando. E’ anche cosa valorizzano di più. Anche questo sta cambiando. E sapete una cosa? Non è più il vostro prodotto. Essi valorizzano le esperienze. Se non offrite esperienze coinvolgenti, differenzianti, i vostri clienti attuali ricercheranno, guarderanno, compreranno e si fidelizzarano altrove”.
Oggi, guidano l’arena competitiva le aziende che riescono ad organizzare le migliori esperienze che garantiscono la testa e il cuore del consumatore.
Romina Giovannoli
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