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I Draghi del’Eden di Marcello Bussi

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Non fosse per la Catalogna, sembrerebbe di vivere nel migliore dei mondi possibili. Il presidente della Bce, Mario Draghi, rispolvera il tocco magico dei tempi migliori e riesce a far passare per un grande successo l’inizio del tapering, o meglio della ricalibrazione del programma di acquisti, mentre negli Stati Uniti sembra davvero possibile varare l’agognata riforma fiscale promessa dal presidente Donald Trump.

Nel frattempo il pil Usa nel terzo trimestre è cresciuto in maniera baldanzosa, mettendo a segno un aumento del 3%, superiore al +2,7% atteso dagli analisti. Per non parlare della borsa di Tokyo, dove l’indice Nikkei 225 è tornato sopra quota 22.000 per la prima volta dal luglio 1996 dopo la netta vittoria del premier Shinzo Abe alle elezioni anticipate.

E a leggere i commenti di alcuni analisti la situazione potrebbe in realtà essere ancora più rosea. Aberdeen Asset Management, per esempio, ha elaborato l’indicatore US Nowcast per determinare lo stato di salute dell’attività economica basandosi su dati aggiornati in tempo reale, come le vendite al dettaglio, la costruzione di nuove case, la produzione industriale e le richieste di sussidi di disoccupazione. Mentre le cifre trimestrali ufficiali del pil sono pubblicate con uno scarto di 6 settimane e sono influenzate dal passare delle stagioni, dal livello delle giacenze di magazzino e da altri fattori che si presentano una tantum e in modi difficili da prevedere.

Ebbene, secondo lo US Nowcast in realtà l’economia Usa sta crescendo a un ritmo superiore al 4,1%, livello raggiunto di rado dopo lo scoppio della crisi finanziaria. La situazione è nettamente migliorata rispetto al minimo del 2,3% all’inizio del 2016, quando si discuteva seriamente di una stagnazione secolare dell’economia americana. «Le condizioni meteo», ha osservato Paul Diggle, economista di Aberdeen Standard Investments, «hanno avuto un effetto prevedibile sull’attività economica.

Lo US Nowcast indica che l’effetto negativo degli uragani Harvey e Irma è stato surclassato dalla forza dell’economia. Un rialzo dei tassi di interesse a dicembre è quindi molto atteso e una ripresa così prolungata dovrebbe corroborare l’ipotesi di altri rialzi nel prossimo anno. La tessera mancante del puzzle resta l’inflazione, che continua a deludere, ma per il momento la Federal Reserve è soddisfatta dell’attuale strategia». Nel secondo trimestre, secondo i dati ufficiali, il pil è cresciuto del 3,1%, nel terzo del 3%, dunque: si tratta della crescita semestrale più forte dallo stesso periodo del 2014. Figuriamoci che cosa potrebbe succedere una volta messi in atto i tagli fiscali previsti dall’amministrazione Trump.

Ci sono insomma tutte le premesse per nuovi record di Wall Street. Vuol dire che la bolla è destinata a gonfiarsi in misura parossistica fino al punto di scoppiare? Secondo Deutsche Bank Am no. Ecco perché: «Alla fine di giugno 2016, subito dopo il referendum sulla Brexit, il mercato azionario statunitense è sceso più dell 5%. A oggi, questo è stato l’ultimo pull-back dello S&P 500 superiore al 5%. Dopo 487 giorni di calendario senza contrazioni maggiori o uguali al 5%, quella attuale si posiziona come la seconda fase rialzista più lunga dal 1970. C’è stato un solo periodo più lungo, tra il dicembre 1994 e il maggio 1996, in cui il mercato è riuscito a salire per un maggiore periodo di tempo, senza scendere oltre il 5%.

Se entro il 13 dicembre di quest’anno lo S&P 500 dovesse non scendere mai oltre il 5%, potremmo persino registrare il più lungo periodo di questo tipo. Tuttavia, in termini di guadagni dell’indice, l’attuale sequenza si classifica solo al tredicesimo posto dal 1970: tra il dicembre 1994 e il maggio 1996, lo S&P 500 è aumentato del 52,3%, quasi il doppio rispetto ai recenti guadagni». Si tratta insomma di una salita lenta ma solida, che non ha caratteristiche di bolla. Negli Stati Uniti, quindi, tutto bene madama la marchesa.

Lo stesso vale per Eurolandia, dove Draghi è riuscito a rintuzzare con successo l’ultimo assalto dei falchi. Secondo il Boersen Zeitung, il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, il membro del Consiglio direttivo, Sabine Lautenschlaeger, (anche lei tedesca) e il governatore della Banca centrale olandese, Klaas Knot, si sono opposti alla decisione di Draghi di non fissare una data precisa per la conclusione del Qe. A partire da gennaio, infatti, gli acquisti di bond saranno ridotti da 60 a 30 miliardi di euro al mese e verranno prolungati almeno fino a settembre 2018. Ma in conferenza stampa Draghi ha sottolineato che il programma di acquisti «non si fermerà di colpo, non è mai stata la nostra idea». Questo significa che il Qe, sia pure ricalibrato, durerà per tutto il 2018 e magari anche oltre.

Le elezioni italiane si terranno mentre sarà ancora attiva la rete di protezione dei titoli di Stato. Anche in questo caso tutto bene madama la marchesa. Nemmeno la decisione della Catalogna di dichiarare l’indipendenza in maniera inequivocabile ha smosso più di tanto i mercati. Va bene che c’è il pilota automatico di Draghi. Ma fino a quando i mercati continueranno a ignorare il disfacimento politico dell’Ue e della zona euro?

Marcello Bussi, Milano Finanza 28 ottobre 2017


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