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EXPORT DIGITALE PER LE PMI: NON BASTA LA DIGITAL AUTOMATION, CI VUOLE LA MARKETING INTELLIGENCE MULTI-CHANNEL!

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La formula è particolarmente efficace e indicata per le PMI, e anche per le imprese di dimensioni molto piccole, con produzioni di eccellenza su due di quelle famose “tre A” che sono il fiore all’occhiello dell’export artigianale italiano: Abbigliamento e Agroalimentare.

Per quanto riguarda la terza “A”, la metodologia può essere applicata con successo non all’intero settore dell’Arredamento, ma a nicchie pertinenti ad esso, quali i complementi e l’oggettistica di Italian Style e Design.

La novità è quella di servire direttamente il consumatore/utilizzatore finale: Smart Export, quindi.

Così come sta accadendo per le banche – che ottengono in tale forma il 50% dei loro ricavi di intermediazione già oggi (dati Nomisma) – anche per le imprese i clienti digitali contribuiranno in misura sempre maggiore ai loro profitti.

L’ internet banking ad esempio è evoluto da tempo da semplice home/remote banking a portali di investimenti e di servizi autogestibili dal correntista, dal risparmiatore e dall’investitore (con buona pace per le filiali fisiche); allo stesso modo, certe PMI hanno bisogno di nuove piattaforme tecnologiche che sviluppino il marketing prima ancora delle vendite, che intercettino i clienti, quelli giusti, altospendenti, che sono amanti e turisti esperienziali dell’Italia, delle sue storie, delle sue tradizioni.

Questa attività di individuazione dei target va svolta prima delle transazioni e-commerce, quelle che i provider di web marketing promettono spesso troppo facilmente, va detto. In pratica, é necessario che sia il portale sistemico (es. del Made-in-Italy, o del Made-in-Tuscany eccetera) a sviluppare la lead generation e la conversione immediata, avvalendosi di una combinazione di tecnologie e di sinergie con altri portali (strategia multi-channel) che le PMI non si possono permettere, a causa delle necessarie ingenti risorse di vario genere, e delle nuove proposizioni e funzionalità da destinarvi.

Per condurre un certo tipo di web marketing mirato (straight to the purpose = vendere!) ci vuole infatti un grande dispendio, si richiede un investimento, sicuramente superiore a quello che viene preventivamente ipotizzato dall’azienda stessa, dai suoi informatori, formatori e consulenti vari, dalle stesse piattaforme di digital automation direttamente interessate (il vecchio e-commerce, quello diventato superstar in tempi di pandemia, ma già in declino nella modalità in cui operava a quei tempi).

Era necessaria in questo modello tutta una serie di attività aziendali, che fossero in collegamento costante con azioni extra-aziendali (quelle degli hub digitali), ai fini della lead generation (acquisizione di contatti giusti e qualificati con il mercato) e della conversione (il cliente potenziale che diventa cliente attivo). Si pensi ad esempio alla creazione di contenuti e immagini vincenti, impressive, captive, alla formulazione di offerte chiare e certe, alla definizione dei tempi di consegna, alla certezza di avere in mano le certificazioni ed il know-how normativo per arrivare a servire il cliente finale senza problemi.

Non è da dare affatto per scontata, in pratica, la certezza di far diventare “customer experience” la gestione dei processi di visibilità e di interessamento prima, e di acquisto poi, da parte dei clienti internazionali; anzi, certe decisioni di acquisto dei clienti diventano spesso l’inizio di un problema e di extracosti per l’azienda, se questa non si avvale del partner digitale idoneo per la parte pratica di esecuzione dell’ordine.

Il portale, da parte sua, deve avere la capacità comprovata (referenziata, certificata, brevettata) di essere non solo digital, ma anche physical: deve cioè saper intervenire sulla parte operativa dopo averlo fatto su quella strategica, deve essere capace di fornire al cliente – per contro dell’azienda esportatrice che è parte di esso – non solo il marketing, ma anche la logistica, la consegna e la garanzia del pagamento in tempi brevi.

E’ chiaro che l’incontro tra questo tipo, a queste condizioni, dell’intelligenza artificiale “phygital” da un lato, e la PMI dall’altro, risulta vincente, soprattutto per quelle aziende che sono ancora piccole esportatrici occasionali, o che non lo sono affatto, e che – nel non esserlo – vedono dispiegarsi davanti a sé ogni giorno i dati del prodigioso export italiano, con legittima frustrazione e con comprensibile rammarico.

Tradotto in linguaggio comune: la piccola impresa vorrebbe essere guidata, non pensare a nulla, al di là di ricevere l’ordine d’acquisto, tranne che presentare il prodotto con i contenuti, i concetti, la storia e le immagini più efficaci. Non può e non vuole farsi carico di tutta una serie di incombenze che la portano dal cliente con alti costi e rischi, dal trasporto, alle operazioni doganali, ai requisiti normativi, certificativi e autorizzativi, alla garanzia del pagamento.

E’ pertanto evidente che, per queste realtà economiche che si faranno accompagnare dai canali innovativi che rendono possibile quanto sopra, il ruolo dell’export manager cambierà sempre più da gestore di relazioni B2B – il vecchio modello di ricerca e controllo di concessionari di vendita, agenti e grandi clienti finali che dettano le regole del gioco e del prezzo – a individuatore e referente di questa digital marketing intelligence che sta cambiando il mercato.

I tempi sono già orientati infatti verso questa direzione innovativa, ma pochi ancora lo sanno, e questi pochi sono vincenti. Se le PMI e quelle artigianali avessero la capacità di individuare le nuove tecnologie di marketing e vendite, e l’intelligenza di avvalersene, esploderebbe un potenziale-export italiano aggiuntivo, anche rispetto alla bellissima realtà di fatturato internazionale delle aziende italiane, che tutti ben conosciamo.

Marco Minossi


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