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DALL’EURO ALLA LIRA SENZA CORSE AGLI SPORTELLI di Paolo Becchi e Fabio Dragoni

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L’euro imploderà, prima o poi, è certo quasi come la legge di gravitazione universale. Affrontare la situazione di comune accordo con gli altri Stati dell’eurozona converrà, eccome. Ma proprio perché la negoziazione non si trasformi in “implorazione” occorre avere ora per allora un piano di emergenza. “I governi dell’eurozona sarebbero stupidi se non avessero un piano B”, ammetteva del resto il ministro Schäuble già nel 2012 durante le trattative di uno dei tanti, troppi ed inutili negoziati per risolvere il problema del debito greco.
Oggi vogliamo quindi proprio parlarvi del giorno in cui cambieremo moneta. Il D-Day per intendersi. Che mette una paura ladra a tutti. Infatti sono in molti quelli che “…sì l’euro è un problema. Ma uscirne sarebbe un salto nel buio. Pensiamoci bene”. Ebbene noi ci abbiamo pensato tanto. Anzi, come molti altri, ci pensiamo tutti i giorni. Non sarà facile. Ma l’edificio sta crollando come le nostre case con il terremoto. E pur di non morire soffocati dalle macerie dobbiamo studiare come prevenire nuove ulteriori tragedie. Proviamoci.
Nel giorno in cui passeremo dall’euro alla lira (il changeover) ci sarà una conversione di tutti i crediti e debiti con un rapporto di conversione di 1:1. Per intendersi: un mutuo di 100.000 euro sarà convertito in 100.000 nuove lire. Lo stipendio di 1.750 euro in 1.750 nuove lire; il caffè verrebbe quindi a costare 1 nuova lira e così via. In pratica quella che una volta avremmo chiamato la “lira pesante”. Il rapporto di conversione 1:1 impedirà peraltro il furbo e fastidioso giochino degli arrotondamenti che tanti problemi ha creato ai bilanci delle nostre famiglie. Fateci fare i “precisetti” solo per pochi secondi! Mentre il tasso di conversione è un rapporto convenzionalmente stabilito dalla legge per migrare da una moneta all’altra (ricorderete il famigerato 1936,27 deciso nel 1999) il tasso di cambio invece altro non è che il prezzo di mercato di una moneta espresso in un’altra; in pratica se il tasso di cambio euro/dollaro oggi è 1.10, questo è in pratica l’ammontare di dollari necessari ad acquistare un euro. Ma torniamo a noi. Esiste un rischio concreto da non sottovalutare ma neppure enfatizzare per non lasciare campo aperto ai professionisti del terrorismo mediatico; i tecnici della disinformazione un tanto al chilo. Il rischio del “risparmiatore impaurito” con i suoi soldi depositati in banca. Parliamo di ciò che in gergo viene definita “raccolta diretta”: conti correnti liberi o vincolati; depositi; obbligazioni bancarie ecc. Stando all’ultimo rapporto ABI di settembre, più o meno 1.656 miliardi di euro. I risparmiatori impauriti in preda al panico potrebbero correre in massa agli sportelli. Ma affinché questa paura non si trasformi in terrore possono essere adottate soluzioni efficaci; ad esempio tranquillizzare subito il risparmiatore lasciandogli la libertà di convertire o meno i propri risparmi nella nuova moneta nazionale. Privare il risparmiatore di questa libertà potrebbe, infatti, esporre le nostre banche a serie difficoltà. Facciamo un esempio concreto: il signor Rossi che ha depositato in banca 50.000 euro potrebbe avere la tentazione più che legittima di prelevare questa somma prima del passaggio alla nuova lira pensando (a ragione) che in futuro (ad esempio, un anno dopo) il tasso di cambio fra nuova lira ed euro possa essere per lui più vantaggioso. Magari potrebbe essere 1,2. Il Signor Rossi si ripresenterebbe a quel punto in banca per convertire i 50.000 euro frettolosamente prelevati un anno prima in 60.000 nuove lire. Se invece quei soldi li avesse tenuti in banca avrebbe avuto diritto soltanto a 50.000 nuove lire dedotte le competenze e spese (tante) e maggiorati di quegli interessi (pochi) nel frattempo maturati. Un comportamento legittimo e razionale, insomma, quello di prelevare i propri risparmi prima del changeover. Quasi un “arbitraggio” lo definirebbero gli economisti. Anche se il nostro Signor Rossi non ha magari studiato ad Harvard ma è semplicemente in possesso di un diploma di perito tecnico all’ITI di Gratosoglio. Se tutti i risparmiatori si comportassero però come lui, le nostre banche si troverebbero prese d’assalto e rimarrebbero in ginocchio non potendo istantaneamente convertire in contante tutti i depositi in essere. Come si fa allora ad impedire questa possibile “corsa agli sportelli”?
Non certo con la forza. Né tantomeno con dolorose misure di controllo dei capitali. Esistono invece soluzioni razionali e sperimentabili per disincentivare questo “prelievo da panico” e che potrebbero trovar posto nel ‘Piano B’. Noi ipotizziamo qui una sorta di “clausola di indennizzo e garanzia”, proviamo a chiamarla così. Ad esempio, potrebbe essere lasciata al risparmiatore la libertà di non convertire immediatamente le somme depositate in banca in nuova valuta: in altre parole è solo al momento del rimborso che il risparmiatore riceverà il controvalore in nuove lire mediante l’applicazione del tasso di cambio vigente in quel momento. Tornando al nostro esempio, al momento del rimborso il Signor Rossi riceverebbe 60.000 nuove lire qualora il tasso di cambio fosse 1,2. Oppure 65.000 nuove lire se il tasso di cambio fosse 1,3. Qualora invece il cambio fosse 0,9 avrebbe comunque diritto alle 50.000 nuove lire previste con il rapporto di conversione ufficiale 1:1. Insomma, seguendo la nostra proposta, il risparmiatore sarebbe sempre completamente tutelato mettendo in sicurezza le nostre banche. L’esatto contrario di ciò che viene fatto oggi dentro la moneta unica. La nostra proposta vuole proprio eliminare alla radice il rischio di possibili corse agli sportelli. Quei momenti di sfiducia e panico che abbiamo già purtroppo sperimentato nel magico mondo dell’euro. Due casi di scuola su tutti: la chiusura degli sportelli in Grecia durante l’abborracciato referendum del 2015 e il più vicino caso Banca Etruria & C. È ovvio che con la nostra proposta la banca depositaria potrebbe trovarsi a fronteggiare un maggior esborso finanziario. Avrebbe ad esempio un debito futuro nei confronti dell’ipotetico signor Rossi di 60.000 nuove lire (col cambio a 1,2 nuove lire per 1 euro) anziché di 50.000 nuove lire calcolando il saldo con il rapporto di conversione 1:1. Un maggior costo di 10.000 nuove lire per intendersi. Questo ulteriore onere non dovrebbe tuttavia sopportarlo la banca depositaria, bensì la Banca d’Italia cui toccherebbe il compito di corrispondere questo straordinario indennizzo (le solite 10.000 nuove lire dell’esempio di prima) in favore della banca stessa. È naturale che la Banca d’Italia, nella nostra ipotesi, tornerebbe a svolgere quel ruolo che aveva quando eravamo in possesso della nostra sovranità monetaria. In questa nuova situazione il risparmiatore non sarebbe più indotto a prelevare “in fretta e furia” i suoi euro nell’imminenza del passaggio alla lira ben sapendo che ci sarebbe un prestatore di ultima istanza (la Banca d’Italia appunto) pronto a garantire il risparmio, il risparmiatore e la banca. Come avviene in quasi ogni parte del Pianeta dove vi è un prestatore di ultima istanza capace di “garantire implicitamente il risparmiatore” organizzando soluzioni più o meno articolate pur di salvaguardare la fiducia nel sistema bancario. Solo nell’eurozona questo non è esplicitamente possibile se non previa tosatura dei risparmiatori nel nome del bail-in (o belin come direbbe Becchi).
Ma dobbiamo porci pure un problema in più. L’eventuale nostra uscita dall’unione monetaria potrebbe provocare la completa disintegrazione dell’eurozona. Se infatti la crisi della Grecia (il cui PIL è grosso modo quello del Veneto) è stata sufficiente a mettere in grave pericolo il destino dell’Eurozona, figuratevi cosa potrebbe mai succedere nel caso fosse l’Italia a salutare Bruxelles. Ebbene la “clausola” da noi proposta dovrebbe comunque essere applicata; ma nei confronti del cambio lira-marco, essendo infatti la moneta tedesca il vero alter ego dell’euro. O comunque nei confronti di quella moneta che la Germania eventualmente decidesse di condividere con altri Paesi, qualora Berlino non optasse per il marco ma virasse verso un euro del Nord. È ovvio che affinché la nostra proposta possa trovare applicazione dentro al cosiddetto Piano B occorre che altri dettagli operativi siano affinati e delineati: dal periodo di tempo in cui tenere “aperta” questa facoltà all’esatta definizione dei rapporti bancari ritenuti degni di protezione e così via.
Qualcuno obietterà che la nostra proposta provocherebbe una crescita delle aspettative inflazionistiche (che peraltro è ciò che la Banca Centrale Europea sta cercando inutilmente di fare da oltre 18 mesi con le sue mensili iniezioni di liquidità). Dio lo voglia in un Paese in cui abbiamo 6 milioni di disoccupati rispetto ai 3 milioni che avevamo nel 2008. In questo numero includiamo infatti anche chi sarebbe disponibilissimo a lavorare ma è talmente disperato da non cercare più un impiego. Per l’Istat una persona “tecnicamente” non disoccupata; per noi sì. In parole semplici, chi oggi si arrovella il cervello con la paura dell’inflazione è come chi sta per morire assiderato in Siberia ma si preoccupa della febbre alta. Qualcun altro potrebbe invece obiettare che questa nostra proposta non farebbe che confermare l’assunto in base al quale svalutazione significhi impoverimento. Niente di più falso. Abbiamo ipotizzato una misura straordinaria per una circostanza straordinaria. E per una finalità più che legittima: preservare la stabilità del sistema bancario al momento del cambio della moneta. E del resto a questo qualcuno vorremmo chiedere “di quanto ci saremmo a suo dire impoveriti, dal momento che circa un paio di anni fa con un euro acquistavamo più o meno 1,4 dollari ed ora 1,1. La risposta è semplice: “zero”. Dal momento che noi non andiamo a fare la spesa tutti i giorni al supermarket di Salt Lake City. Del resto molti di questi “obiettori di scienza” non facevano forse a gara per santificare Super Mario Draghi che col suo bazooka iniettava liquidità e svalutava l’euro dando una botta di vita al nostro export? Insomma, fuori dalla prigione della moneta unica persino le banche potranno tornare ad essere un posto sicuro dove depositare i nostri risparmi, grazie anche alla garanzia della nostra Banca Centrale. Andiamoci!

P.S. Se all’ “ultimo irriducibile giapponese nella foresta” venisse infine in mente l’argomentone killer che così facendo metteremmo però in ginocchio la nostra Banca Centrale costretta a pagare tutti questi indennizzi, segnaliamo uno studio scientifico (un paper direbbe il fenomeno) pubblicato dalla Banca Centrale Europea lo scorso aprile. Titolo: “Regole per la distribuzione dei profitti e la copertura delle perdite nelle banche centrali”. Pagina 10. Nota a pie di pagina 7: “Le banche centrali sono immuni dal rischio di insolvenza, grazie alla loro capacità di creare denaro; pertanto possono anche operare con un patrimonio netto negativo”. Amen!

L’euro imploderà, prima o poi, è certo quasi come la legge di gravitazione universale. Affrontare la situazione di comune accordo con gli altri Stati  delleurozona converrà, eccome. Ma proprio perché la negoziazione non si trasformi in “implorazione” occorre avere ora per allora un piano di emergenza. “I governi delleurozona sarebbero stupidi se non avessero un piano B”, ammetteva del resto il ministro Schäuble già nel 2012 durante le trattative di uno dei tanti, troppi ed inutili negoziati per risolvere il problema del debito greco.

Oggi vogliamo quindi proprio parlarvi del giorno in cui cambieremo moneta. Il D-Day per intendersi. Che mette una paura ladra a tutti. Infatti sono in molti quelli che “…sì l’euro è un problema. Ma uscirne sarebbe un salto nel buio. Pensiamoci bene”. Ebbene noi ci abbiamo pensato tanto. Anzi, come molti altri, ci pensiamo tutti i giorni. Non sarà facile. Ma l’edificio sta crollando come le nostre case con il terremoto. E pur di non morire soffocati dalle macerie dobbiamo studiare come prevenire nuove ulteriori tragedie. Proviamoci.

Nel giorno in cui passeremo dall’euro alla lira (il changeover)  ci sarà  una conversione di tutti i crediti  e debiti con un rapporto di conversione di 1:1.  Per intendersi: un mutuo di 100.000 euro sarà convertito in 100.000 nuove lire. Lo stipendio di 1.750 euro in 1.750 nuove lire;  il caffè verrebbe quindi a costare 1 nuova lira e così via. In pratica quella che una volta avremmo chiamato la “lira pesante”. Il rapporto di conversione 1:1 impedirà peraltro il furbo e fastidioso giochino degli arrotondamenti che tanti problemi ha creato ai bilanci delle nostre famiglie. Fateci fare i “precisetti” solo per pochi secondi! Mentre il tasso di conversione è un rapporto convenzionalmente stabilito dalla legge per migrare da una moneta all’altra (ricorderete il famigerato 1936,27 deciso nel 1999) il tasso di cambio invece altro non è che il prezzo di mercato di una moneta espresso in un’altra; in pratica se il tasso di cambio euro/dollaro oggi è 1.10, questo è in pratica l’ammontare di dollari necessari ad acquistare un euro. Ma torniamo a noi. Esiste un rischio concreto da non sottovalutare ma neppure enfatizzare per non lasciare campo aperto ai professionisti del terrorismo mediatico; i tecnici della disinformazione un tanto al chilo. Il rischio del “risparmiatore impaurito” con i suoi soldi depositati in banca. Parliamo di ciò che in gergo viene definita “raccolta diretta”: conti correnti liberi o vincolati; depositi; obbligazioni bancarie ecc. Stando all’ultimo rapporto ABI di settembre, più o meno 1.656 miliardi di euro.

I risparmiatori impauriti in preda al panico potrebbero correre in massa agli sportelli. Ma affinché questa paura non si trasformi in terrore possono essere adottate soluzioni efficaci; ad esempio tranquillizzare subito il risparmiatore lasciandogli la libertà di convertire o meno i propri risparmi nella nuova moneta nazionale.  Privare il risparmiatore di questa libertà potrebbe, infatti, esporre le nostre banche a serie difficoltà. Facciamo un esempio concreto: il signor Rossi che ha depositato in banca 50.000 euro potrebbe avere la tentazione più che legittima di prelevare questa sommaprima del passaggio alla nuova lira pensando (a ragione) che in futuro (ad esempio, un anno dopo) il tasso di cambio fra nuova lira ed euro possa essere per lui più vantaggioso. Magari potrebbe essere 1,2. Il Signor Rossi si ripresenterebbe a quel punto in banca per convertire i 50.000 euro frettolosamente prelevati  un anno prima  in 60.000 nuove lire. Se invece quei soldi li avesse tenuti in banca avrebbe avuto diritto soltanto a 50.000 nuove lire dedotte le competenze e spese (tante) e maggiorati di quegli interessi (pochi) nel frattempo maturati. Un comportamento legittimo e razionale, insomma, quello di prelevare i propri risparmi prima del changeover. Quasi un “arbitraggio” lo definirebbero gli economisti. Anche se il nostro Signor Rossi non ha magari studiato ad Harvard ma è semplicemente in possesso di un diploma di perito tecnico all’ITI di Gratosoglio. Se tutti i risparmiatori si comportassero però come lui, le nostre banche si troverebbero prese d’assalto e rimarrebbero in ginocchio non potendo istantaneamente convertire in contante tutti i depositi in essere. Come si fa allora ad impedire questa possibile “corsa agli sportelli”

Non certo con la forza. Né tantomeno con dolorose misure di controllo dei capitali. Esistono invece soluzioni razionali e sperimentabili per disincentivare questo “prelievo da panico” e che potrebbero trovar posto nel ‘Piano B’. Noi ipotizziamo qui  una sorta di clausola di indennizzo e garanzia, proviamo a chiamarla così. Ad esempio, potrebbe essere lasciata al risparmiatore la libertà di non convertire immediatamente le somme depositate in banca in nuova valuta:  in altre parole è solo al momento del rimborso che il risparmiatore riceverà il controvalore in nuove lire mediante l’applicazione del tasso di cambio vigente in quel momento. Tornando al nostro esempio, al momento del rimborso il Signor Rossi riceverebbe 60.000 nuove lire qualora il tasso di cambio fosse 1,2. Oppure 65.000 nuove lire se il tasso di cambio fosse 1,3. Qualora invece il cambio fosse 0,9 avrebbe comunque diritto alle 50.000 nuove lire previste con il rapporto di conversione ufficiale 1:1. Insomma, seguendo la nostra proposta, il risparmiatore sarebbe sempre completamente tutelato mettendo in sicurezza le nostre banche. L’esatto contrario di ciò che viene fatto oggi dentro la moneta unica.

La nostra proposta vuole proprio eliminare alla radice il rischio di possibili corse agli sportelli. Quei momenti di sfiducia e panico che abbiamo già purtroppo sperimentato nel magico mondo dell’euro. Due casi di scuola su tutti: la chiusura degli sportelli in Grecia durante l’abborracciato referendum del 2015 e il più vicino caso Banca Etruria & C.   È ovvio che con la nostra proposta la banca depositaria potrebbe trovarsi a fronteggiare un maggior esborso finanziario. Avrebbe ad esempio un debito futuro nei confronti dell’ipotetico signor Rossi di 60.000 nuove lire (col cambio a 1,2 nuove lire per 1 euro) anziché di 50.000 nuove lire calcolando il saldo con il rapporto di conversione 1:1. Un maggior costo di 10.000  nuove lire per intendersi. Questo ulteriore onere non dovrebbe tuttavia sopportarlo la banca depositaria, bensì la Banca d’Italia cui toccherebbe il compito di corrispondere questo straordinario indennizzo (le solite 10.000 nuove lire dell’esempio di prima) in favore della banca stessa. È naturale che la Banca d’Italia, nella nostra ipotesi,  tornerebbe a svolgere quel ruolo che aveva quando eravamo in possesso della nostra sovranità monetaria. In questa nuova situazione il risparmiatore non sarebbe più indotto a prelevare “in fretta e furia” i suoi euro nell’imminenza del passaggio alla lira ben sapendo che ci sarebbe un prestatore di ultima istanza (la Banca d’Italia appunto) pronto a garantire il risparmio, il risparmiatore e la banca.  Come avviene in quasi ogni parte del Pianeta dove vi è un prestatore di ultima istanza capace di “garantire implicitamente il risparmiatore” organizzando soluzioni più o meno articolate pur di salvaguardare la fiducia nel sistema bancario. Solo nelleurozona questo non è esplicitamente possibile se non previa tosatura dei risparmiatori nel nome del bail-in (o belin come direbbe Becchi).

Ma dobbiamo porci pure un problema in più. L’eventuale nostra uscita dall’unione monetaria potrebbe provocare la completa disintegrazione dell’eurozona. Se infatti la crisi della Grecia (il cui PIL è grosso modo quello del Veneto) è stata sufficiente a mettere in grave pericolo il destino dell’Eurozona, figuratevi cosa potrebbe mai succedere nel caso fosse l’Italia a salutare Bruxelles. Ebbene la “clausola” da noi proposta dovrebbe comunque essere applicata; ma nei confronti del cambio lira-marco, essendo infatti la moneta tedesca il vero alter ego dell’euro. O comunque nei confronti di quella moneta che la Germania eventualmente decidesse di condividere con altri Paesi, qualora Berlino non optasse per il marco ma virasse verso un euro del Nord. È ovvio che affinché la nostra proposta possa trovare applicazione dentro al cosiddetto Piano B occorre che altri dettagli operativi siano affinati e delineati: dal periodo di tempo in cui tenere “aperta” questa facoltà all’esatta  definizione dei rapporti bancari ritenuti degni di protezione e così via

Qualcuno obietterà che la nostra proposta provocherebbe una crescita delle aspettative inflazionistiche (che peraltro è ciò che la Banca Centrale Europea sta cercando inutilmente di fare da oltre 18 mesi con le sue mensili iniezioni di liquidità). Dio lo voglia in un Paese in cui abbiamo 6 milioni di disoccupati rispetto ai 3 milioni che avevamo nel 2008. In questo numero includiamo infatti anche chi sarebbe disponibilissimo a lavorare ma è talmente disperato da non cercare più un impiego. Per l’Istat una persona “tecnicamente” non disoccupata; per noi sìIn parole semplici, chi oggi si arrovella il cervello con la paura  dell’inflazione è come chi sta per morire assiderato in Siberia ma si preoccupa della febbre alta. Qualcun altro  potrebbe invece obiettare che questa nostra proposta non farebbe che confermare l’assunto in base al quale svalutazione significhi impoverimento. Niente di più falso. Abbiamo ipotizzato una misura straordinaria per una circostanza straordinaria. E per una finalità più che legittima: preservare la stabilità del sistema bancario al momento del cambio della moneta. E del resto a questo qualcuno vorremmo chiedere “di quanto ci saremmo a suo dire impoveriti, dal momento che circa un paio di anni fa con un euro acquistavamo più o meno 1,4 dollari ed ora 1,1. La risposta è semplice: “zero”. Dal momento che noi non andiamo a fare la spesa tutti i giorni al supermarket di Salt Lake City.

Del resto molti di questi “obiettori di scienza” non  facevano forse a gara per santificare Super Mario Draghi che col suo bazooka iniettava liquidità e svalutava l’euro dando una botta di vita al nostro export? Insomma, fuori dalla prigione della moneta unica persino le banche potranno  tornare ad essere un posto sicuro dove depositare i nostri risparmi, grazie anche alla garanzia della nostra Banca Centrale. Andiamoci! 

P.S. Se all’ “ultimo irriducibile giapponese nella foresta” venisse infine in mente l’argomentone killer che così facendo metteremmo però in ginocchio la nostra Banca Centrale costretta a pagare tutti questi indennizzi, segnaliamo uno studio scientifico (un paper direbbe il fenomeno) pubblicato dalla Banca Centrale Europea lo scorso aprile. Titolo: “Regole per la distribuzione dei profitti e la copertura delle perdite nelle banche centrali”. Pagina 10. Nota a pie di pagina 7: “Le banche centrali sono immuni dal rischio di insolvenza, grazie alla loro capacità di creare denaro; pertanto possono anche operare con un patrimonio netto negativo. Amen!

Paolo Becchi e Fabio Dragoni, Libero 6 novembre 2016


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