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CRISI NELLA CRISI: QUELLO CHE RENZI E PADOAN NON DICONO di Luca Di Marco

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In questi giorni siamo sommersi da dichiarazioni di Renzi e di Padoan che rassicurano gli italiani riguardo alle conseguenze dell’uscita della Grecia dall’Euro.

Come ha brillantemente ribadito ieri Frances Coppola su Forbes, Grexit è un processo, non un evento e questo processo è già iniziato quando la BCE, come un mazziere truffaldino, non ha fornito la liquidità necessaria agli istituti greci tappando l’ELA e costringendo il governo Tsipras ad imporre il controllo di capitali.

Le conseguenze di un’uscita della Grecia accompagnata da un default sono spesso sottostimate, o meglio, vengono considerate solo le perdite sulle esposizioni dirette come il Fondo salva stati (ESM), soldi pubblici che sono già stati contabilizzati in precedenza sul bilancio statale aggravando il nostro debito pubblico.

Nella stessa scia, Standard & Poor’s, pochi giorni fa, ha stimato il costo di una Grexit per l’Italia in soli 11 miliardi cioè maggior oneri sul debito pubblico (tradotto = rendimenti più alti).

Ci sono, però, una serie di canali di rischio che sono stati ignorati o poco considerati, ma che potrebbero portare l’Italia e la restante Eurozona all’implosione finale. Come recentemente ha fatto notare Bloomberg, ci sono equity managers che gestiscono 3,7 trilioni di dollari (3700 miliardi per intenderci) che si mostrano preoccupati e con ben poche certezze in caso di uscita del paese ellenico(certezze che Renzi sembra avere as usual); basti pensare che l’annuncio di Tsipras del referendum ha fatto crollare due indici come Euro Stoxx 50 (-4,2%) e Standard & Poor 500 Index.

Questa incertezza del mercato azionario, nonostante le politiche di allentamento quantitativo della BCE e il famoso “Whatever it takes” di Draghi, sono ben fondate. Da un lato verrà sfatata nei fatti l’irreversibilità dell’Euro, lasciando l’Europa nelle sue false certezze e minando irrimediabilmente la credibilità della BCE e delle istituzioni EU.

Ragionamento che, dal punto di vista politico, si potrebbe rafforzare se la Grecia, una volta fuori l’Eurozona, gestisse bene l’uscita (che non nego sarà problematica nello short-term ma superabile) e dimostrasse la presenza di “vita” e di prospettive di crescita.

Da notare, inoltre, un’altra debolezza della BCE che si ritroverebbe a gestire una situazione esplosiva avendo già usato quasi tutti gli strumenti monetari a sua disposizione, come taglio dei tassi, Asset-backed securities purchase programme, Covered bond purchase programme e QE. Insomma, l’unico strumento ipotizzabile potrebbe essere l’OMT (Outright Monetary Transactions) ma che può operare solo sotto programma e che potrebbe mancare di efficacia dopo la perdita di credibilità della BCE.

 

Infine, anche un minimo contraccolpo subito dagli istituti finanziari europei (che non sembrano ancora adeguatemene capitalizzati) causato da alcune aziende diventate inadempienti dopo aver perso il business in Grecia potrebbero portare ad un ulteriore credit crunch nell’Eurozona.

Si potrebbe ri-scatenare, in luce dei fatti sopracitati, la fuga di capitali dal Sud Europa, soprattutto in Italia e Spagna (che andrà al voto a fine anno), che trascinerebbe i due paesi in una nuova crisi della bilancia dei pagamenti.

Insomma, la crisi nella crisi che darebbe il colpo mortale ad una moneta come l’Euro, progetto politico ed economico, che ha mostrato in ogni suo aspetto la sua incompatibilità con la democrazia.

 

LUCA DI MARCO


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