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Crisi energetica: la Cina riapre in emergenza 72 miniere di carbone

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La politica del governo verso aziende e autorità locali, che spinge a “Procurarsi le risorse a qualsiasi costo”, sta iniziando a dare i primi effetti. L’Ufficio per l’energia della Regione Autonoma della Mongolia Interna ha emesso un avviso di emergenza questo giovedì sette ottobre con il quale ordina alle singole città e province di riaprire quanto prima le miniere di carbone. Si tratta di 72 giacimenti che ritorneranno attivi a partire da oggi. La notizia è stata confermata ufficialmente e si ritiene che questo carbone andrà a soddisfare la domanda interna di energia in vista dell’inverno.

All’inizio di ottobre le temperature nel nord della Cina sono scense  in modo significativo, di circa 20 gradi Celsius e la popolazione era molto preoccupata di non avere combustibile sufficiente per far fronte a un inverno che si annuncia rigido. 

L’aumento di produzione richiesto non è indifferente.  Si raccomanda un aumento della capacità di 98,35 milioni di tonnellate Con effetto immediato, la produzione dovrà essere riorganizzata in base agli ordini emergenziali emessi dall’autorità della Regione Autonoma.

La decisione viene a seguire la notizia della chiusura di 27 miniere di carbone dell Shanxi a seguito delle alluvioni che ne hanno reso pericolosi e franosi i luoghi di estrazione. Nel frattempo 136 mila tonnellate di carbone sono state acquistate, per la prima volta, dal governo del Kazakistan, e questo genere di acquisto dovrebbe diventare una pratica stabile.

A questo punto la politica verde europea, quella che impone tasse senza dare alternative energetiche, quella che vuole penalizzare le importazioni con il CBAM, sta avendo l’effetto opposto a quello desiderato: non solo nessuna decarbonizzazione, ma un incremento delle fonti energetiche al carbonio più inquinanti, come, appunto, il carbon fossile. Un grande risultato per Greta e i suoi amichetti nella Commissione.

 


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