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Finanza

Che cos’è il denaro?

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Articolo di Alessandro Pedone
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In una canzone di Franco Battiato, scritta dal filosofo Manlio Sgalambro, si dice che “il denaro è un’illusione collettiva”. Questa affermazione può avere varie chiavi di interpretazione, ma si può affermare che ciò sia vero anche in senso abbastanza stretto.
La grande maggioranza delle persone è abituata a pensare al denaro come qualcosa di diverso rispetto a ciò che esso è veramente.
La mente umana ha una certa difficoltà a gestire i concetti astratti. Lo può fare, ma richiede un certo sforzo. I processi “automatici” (li chiamiamo in questo modo improprio per semplicità) della mente tendono a fare enormi semplificazioni che vanno benissimo per il mondo fisico, ma molto meno per i concetti astratti.
La grande maggioranza delle persone tratta il denaro come qualcosa di fisico, le cui caratteristiche non cambiano nel tempo. Se hanno, diciamo, 100.000 euro in banca, sono abituati a pensare a questi 100.000 euro come ad un oggetto, non come ad una relazione. Cioè come qualcosa che ha delle proprietà intrinseche, invece di qualcosa le cui proprietà derivano dalla interazione fra le persone che decidono di utilizzarlo.
Se ci riflettiamo con attenzione, tutti noi comprendiamo facilmente che il denaro, di per sé, non ha alcun valore. Ciò nonostante, tutti noi lo trattiamo come qualcosa che ha valore in sé.
Perché questo accade?
Perché i cambiamenti nelle proprietà del denaro, derivanti dalle interazioni fra coloro che lo utilizzano, sono di due tipi:
  1. continui, ma estremamente graduali;
  2. repentini e di grandi dimensioni, ma molto rari.
La nostra mente è abituata a gestire cambiamenti che sono sufficientemente frequenti e consistenti, come le condizioni meteo. Se i cambiamenti sono estremamente graduali, come il fenomeno della deriva dei continenti, oppure molto rilevanti ma rari, come un terremoto, la nostra mente esercita una semplificazione necessaria e tende ad ignorare questi fenomeni.
Il denaro che noi utilizziamo tutti i giorni è soggetto sia a cambiamenti continui (inflazione regolare) sia ad eventi traumatici (grandi svalutazioni, cambi forzosi, ecc.), ma noi tendiamo ad ignorarli.
Ogni giorno pensiamo al “gruzzoletto” che abbiamo da parte –per chi ha la fortuna di averlo– e crediamo che oggi quel gruzzoletto sia uguale a ciò che era ieri e sarà uguale a quello di domani (1).
Noi pensiamo al denaro come al “nostro” denaro. Quello che “io” ho guadagnato… quello che “io” ho messo da parte… il “mio” conto in banca.
Già pensare al denaro come “nostro” è una semplificazione necessaria, ma che ci porta a commettere importanti errori di percezione. Un oggetto può essere nostro (2). Una proprietà come un terreno, una casa, una bicicletta. Il fatto che sia nostro significa che possiamo disporne come vogliamo (chiaramente, nei limiti di ciò che è consentito dalla legge).
Col denaro, invece, non possiamo fare altro che scambiarlo con altre cose le quali, quelle sì, diventeranno nostre. Ma i 100.000 euro che oggi ho sul conto, con quante e quali cose potranno essere scambiate fra un anno, cinque anni o dieci anni? Questo non dipende in nessun modo da noi. Il denaro non ha proprietà intrinseche. Se ho una bicicletta, fino a quando non si rompe, io so che potrò usarla esattamente per la funzione per la quale l’ho acquistata. Con il denaro, la sua funzione di scambio varia in continuazione per una serie di fattori che sono completamente fuori dal controllo del possessore del denaro. Se noi consideriamo il denaro per la sua capacità di essere scambiato, dire che una persona possiede questa capacità è un nonsenso poiché questa capacità muta continuamente e non dipende in nessun modo da lui.
La maggior parte delle persone si inferocisce se vede il numerino del saldo del conto corrente diminuire, magari per effetto del pagamento di un tassa, ma non comprende che il problema è fare in modo che lo stesso numero –o anche un numero inferiore– possa avere un valore superiore, cioè possa essere scambiato con oggetti o prestazioni di servizi che abbiamo più valore.
Il denaro è la rappresentazione di una relazione, non è un oggetto!
Che cos’è che fa mutare il valore del denaro? L’interazione fra i soggetti che scelgono di utilizzarlo. Cioè i comportamenti degli agenti economici. Questa interazione è influenzata pesantemente da una serie di regole di politica economica e monetaria delle quali la maggior parte di coloro che utilizzano il denaro non sa praticamente nulla.
Chi decide, ad esempio, quanto denaro debba esserci in circolazione e chi lo produce?
Molti pensano che sia la banca centrale a produrre denaro. In realtà questo è vero in piccola parte.
Molti pensano che il denaro sia una merce limitata, come potrebbe essere il petrolio, ma non è così. Il denaro non è una merce, è la rappresentazione di una relazione. Dire: “lo Stato non ha i soldi” significa che non vogliamo o non possiamo modificare determinate regole che ci siamo auto-imposti. Lo stesso problema del debito pubblico è un problema solo perché siamo ingabbiati in una concezione del denaro che è assolutamente autolesionista, almeno per il 95% della popolazione.
L’errore chiave della nostra attuale concezione del denaro, come ho scritto altre volte su questo spazio, è quello di considerarlo contemporaneamente uno mezzo di scambio ed un mezzo di accumulo. E’ evidente a chiunque che se il denaro è un buon mezzo di accumulo non sarà mai un perfetto mezzo di scambio e viceversa. Ciò che lo rende un buon mezzo di accumulo è il tasso d’interesse. Il tasso d’interesse è una delle cause principali di tutti i nostri problemi economici-finanziari. La maggioranza delle persone non si rende conto che paga interessi in continuazione, anche se non ha contratto nessun finanziamento. Se una persona ha i suddetti 100.000 euro in titoli di stato, magari è felice di ricevere tre o quattro migliaia di euro di interessi, però non si rende conto delle decina di migliaia di euro di interessi che paga ogni anno.
Circa un quinto delle entrate dello stato se ne vanno per pagare gli interessi. Quindi un quinto delle tasse che paghiamo è dovuto ad interessi. Se uno acquista un automobile, del prezzo dell’automobile, una fetta molto consistente è costituita dai costi finanziari –cioè dagli interessi– che la casa produttrice paga.
Per gli immobili (sia che siamo in affitto, sia che abbiamo acquistato la casa) circa la metà dei costi che paghiamo per avere un tetto sotto la testa è dovuta agli interessi. In breve, noi paghiamo interessi continuamente, al supermercato, al bar, in palestra, ecc., ma non ce ne rendiamo conto! La cosa più grave è che la presenza del tasso d’interesse determina una concentrazione di ricchezza monetaria nelle mani di pochissimi.
Questo non è solo un problema di giustizia è anche un problema economico-finanziario. L’eccessiva concentrazione di ricchezza finanziaria nelle mani di pochi crea costanti disequilibri sia economici che finanziari i quali sono la causa di crisi finanziarie ed economiche sempre più grandi.
La soluzione radicale al problema, quindi, sarebbe quella di separare la funzione di accumulo di ricchezza da quello di mezzo di scambio, abolendo il tasso d’interesse ed introducendo un costo legato al possesso del denaro, ovvero un tasso d’interesse negativo. Il denaro, così liberato dal tasso d’interesse, diventerebbe un perfetto mezzo di scambio e la funzione di accumulo verrebbe riservata alle merci con tutte le problematiche che è giusto debbano essere collegate alla gestione di accumuli di ricchezza.
Questo, contrariamente a quanto si è portati a pensare, aumenterebbero il potere di acquisto perché il prezzo delle merci diminuirebbe e le tasse potrebbero essere ridotte drasticamente (non solo per i risparmi dello Stato sugli interessi, ma perché le imposte sui redditi verrebbero sostituite da questa forma di tassazione monetaria che è il tasso d’interesse negativo).
Gli unici che verrebbero penalizzati da una riforma radicale come questa sono coloro che riscuotono più interessi rispetto a quelli che pagano. Sono i super-ricchi. Coloro che hanno svariati milioni di euro in banca e possono vivere di rendita.
Questa esigua minoranza non vedrebbe più aumentare automaticamente il proprio enorme patrimonio e quindi ostacolerebbe in ogni modo una riforma del genere. Se avesse una prospettiva più lungimirante, però, si renderebbe conto che una riforma del genere gli consentirebbe di godere della loro enorme ricchezza senza attraversare quelle fasi di choc finanziario che sono assolutamente inevitabili con l’attuale modello. Stiamo vivendo una fase storica nella quale le principali banche centrali del mondo stanno mettendo in atto politiche monetarie non convenzionali per tentare di uscire da una crisi del sistema finanziario senza precedenti. Gli effetti di lungo termine di queste politiche sono sostanzialmente impossibili da prevedere. Sono ancora in pochi ad avere acquisito la consapevolezza che è l’attuale modello di moneta che non è più sostenibile. (3)
Abbiamo bisogno di una diversa concezione del denaro. Se il popolo si rendesse realmente conto di cos’è il denaro, come funziona, come viene prodotto, come viene redistribuito, avremmo risolto buona parte dei problemi economici perché l’attuale modello di moneta verrebbe travolto in favore di un modello più razionale e sostenibile.
Purtroppo, abbiamo un enorme problema d’informazione. Fino ad una quindicina di anni fa, semplicemente non se ne parlava. Oggi, con Internet, se ne parla molto nei così detti siti di “contro-informazione” ma insieme a tante cose corrette si dicono un mare di panzane colossali. Questo scredita completamente l’argomento agli occhi di chi è abituato ad affrontare le cose seriamente ed il tema non viene praticamente mai sollevato nei mezzi d’informazione tradizionali perché si pensa che l’argomento sia frutto di invenzioni di qualche complottista fuori di testa.
Prima o poi (purtroppo, temo più poi che prima) il tema dovrà essere affrontato. Questo sistema monetario non è sostenibile. Potrà reggere forse ancora qualche decennio, ma una riforma radicale sarà inevitabile e per allora anche la conoscenza del problema sarà molto più diffusa di quanto lo sia oggi. Almeno lo spero.

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