Attualità
Caro Dr Schaeuble, la lezione è stata capita: nessuno vuole entrare più nell’euro.
Zoltan Pogatsa, economista ungherese secondo cui non bisogna entrare nell’euro, ma agganciarvisi.
La crisi greca è stata una lezione, voluta, come desiderava Schaeuble, o non voluta che sia. E come tutte le lezioni viene compresa ed ha delle conseguenze.
Non ci riferiamo all’Italia, alla Francia o alla Spagna. questi tre paesi, che presto assaggeranno la medicina dell’austerità in modo duro e feroce, soprattutto la prima, hanno governi che o non riescono a capire, o devono far finta di nulla , nella loro qualità di futuri protettorati dei poteri centrali, come sta accadendo in Grecia. Ci riferiamo ai paesi che ancora sono fuori dell’area euro. Polonia, Ungheria, Bulgaria , Romania e Repubblica Ceca.
questi paesi sono parte dell’Unione Europea e non dell’euro. La loro evoluzione naturale dovrebbe essere quella di convergere verso l’euro, ed infatti si erano impegnati ad entrare nel patto di convergenza ERM II. Sino a questa primavera le opinioni pubbliche di questi paesi erano favorevoli all’entrata. Sarà ancora così ?
Iniziamo con la Repubblica Ceca. In questo stato centro europeo, praticamente circondato da paesi facenti parte dell’euro area, già ad aprile lo 85%, secondo un sondaggio di Praguepost, dei cittadini non voleva entrare nell’euro. Dubitiamo che quest’ultimo mese il numero dei sostenitori sia aumentato, e comunque è significativo che una enclave dell’euro non desideri entrarvi.
Quindi la Polonia, la più grande economia fra quelle che dovrebbero entrare nell’euro. Mentre Tusk e la sua “Piattaforma civica” erano impegnati fortemente nello sforzo per entrare nell’euro, il nuovo presidente Duda, di “Diritto e giustizia” ha affermato chiaramente che l’entrata della Polonia nell’euro è una cattiva idea, tranne che non si voglia trasformare la Polonia nella prossima Grecia. Se il suo partito vincerà, come probabile, le elezioni legislative autunnali la prospettiva di una Polonia nell’euro sarà ritardata di un bel po’.
Liquidiamo rapidamente l’Ungheria il cui primo ministro Orban, ai ferri corti con l’unione europea, non ha nessuna intenzione di aderire all’euro, tarpando così le ali alla ripresa ed al successo delle sue politiche per l’occupazione.
L’instabilità economica delle pur crescenti realtà rumene e bulgare già le rallentavano nel processo di adozione dell’euro, ma la situazione greca ha acceso nuove preoccupazioni. Il primo ministro bulgaro Borkov Borisov ha detto: “(se fossimo nell’euro) noi dovremo dare dei soldi alla Grecia – un paese più povero che da soldi ad uno più ricco, non vedo la logica in questo”. Del resto proprio i bulgari stanno vedendo un curioso , e per loro gradevole, effetto della crisi greca: gli alberghi ed i negozi della Grecia settentrionale stanno accettando in modo esteso il Lev bulgaro come strumento di pagamento, data la scarsità di altre monete.
Il quotidiano Standart bulgaro riporta delle parole che chiariscono bene la situazione . “Penso che la situazione con la Grecia sia una lezione per la zona euro . Il desiderio di accedervi dei nuovi paesi UE diminuirà”, ha detto il vice primo ministro bulgaro Ivaylo Kalfin. Secondo Zoltan Pogatsa, economista ungherese, i maggiori vantaggi dell’adesione alla zona euro provengono da riforme necessarie per l’ingresso nell’unione monetaria. Dopo che si è raggiunta tale stabilità, tuttavia, la scelta migliore per i vari stati è quella di mantenere la propria valuta e collegarne il corso corso l’euro, come han fatto la Danimarca e la Svezia. “In questo modo, gli stati mantengono la possibilità di svalutare la moneta, se necessario, e di sfidare la dittatura tecnocratica di Bruxelles”.
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