Attualità
Bond perpetui: soluzione definitiva o Spada di Damocle? (di C.A. Mauceri)
Che senso ha “prestare” dei soldi a qualcuno per non averli più indietro? Specie se quel “qualcuno” è lo stato. Eppure è così che da molti anni funziona uno degli strumenti finanziari più controversi e meno discussi: i bond “perpetui”.
Poche settimane fa, la Repubblica di S.Marino è riuscita a far scomparire circa mezzo miliardo di debiti emettendo titoli di stato “irredimibili”, senza scadenza. Uno strumento finanziario apparentemente impossibile (la presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, ha più volte ribadito che i debiti sono debiti e vanno saldati), ma che in realtà esiste. E da tempo. Anzi, quelli emessi da San Marino avrebbero ricevuto addirittura il nulla osta del Fondo Monetario Internazionale.
Uno strumento che, in realtà, non è affatto nuovo. Neanche in Italia. Se ne parlò nel 2004, con la riforma Vietti, quando questi bond vennero inseriti tra le obbligazioni che potevano beneficiare di un regime fiscale al 12,50%. Uno strumento ibrido a metà strada tra un’obbligazione e un’azione. Un “prestito”, ma senza scadenza e, di conseguenza, senza rimborso (somiglierebbe, quindi, alle azioni), ma dato che questi titoli assicurano un tasso d’interesse fisso e a tempo indeterminato, potrebbero somigliare a delle obbligazioni. A questo si aggiunge che generalmente è inserita una clausola che prevede che solo l’emittente può unilateralmente decidere di rimborsarlo.
Complessivamente si tratta di titoli che comportano rischi superiori ad altri simili dato che, essendo considerati dalla legge debiti subordinati, possono essere rimborsati solo dopo che sono stati soddisfatti tutti gli altri creditori. In altre parole, visto il debito accumulato da molti stati, praticamente mai.
Preoccupante il loro utilizzo anche per salvare alcune aziende “zombi”. Aziende come MPS o Alitalia costantemente in debito. Veri pozzi senza fondo nei quali finiscono ogni anno miliardi di Euro prelevati dalle casse dello stato. Un problema del quale si è parlato anche nell’ultimo G30 presieduto da Mario Draghi, affiancato da Raghuram Rajan, ex governatore della Banca centrale indiana e ora docente all’Università di Chicago. Il documento finale, firmato anche da colui il quale pochi giorni dopo sarebbe diventato Presidente del Consiglio italiano, ha anticipato l’atteggiamento oggi seguito anche dal governo italiano per far fronte alla pandemia: un “whatever it takes”, “costi quel che costi” che ricorda molto da vicino le misure adottate nell’estate del 2012 per evitare il naufragio dell’Euro (e anche allora Draghi era in prima fila: era a capo della BCE). Oggi, come nove anni fa, Draghi si trova a dover affrontare un’emergenza senza precedenti: la pandemia ha moltiplicato le situazioni di crisi e i sussidi pubblici e le moratorie sui prestiti hanno solo rimandato la resa dei conti e differito il fallimento di migliaia di imprese. Una bomba ad orologeria che potrebbe scoppiare da un momento all’altro che si aggiunge alla necessità di aiuti per la popolazione. Un sistema perverso che rischia di trasformarsi in un colossale spreco di risorse. Il rischio è che, per questi aiuti a pioggia e per gestire i “dossier” di aziende “zombi” come Alitalia e Monte dei Paschi, finora salvate da continue iniezioni di capitale pubblico (dal 2017 al 2020 i governi hanno concesso prestiti e nuovo capitale per oltre 3 miliardi ad Alitalia, che tuttavia appare sempre più in crisi; quanto a MPS, le perdite accumulate dal 2011 superano i 23 miliardi e il Tesoro, azionista di maggioranza con una quota del 68 per cento, ha già bruciato 5 miliardi per evitare il crack), il governo decida di ricorrere ai bond perpetui. (Da non dimenticare anche il problema “autostrade”: il crollo del ponte Morandi ha aperto un’altra voragine nelle casse dello stato. Ma nessuno sembra volerne parlare).
Una scelta che appare più che mai probabile visto che anche Intesa Sanpaolo, lo scorso anno, ha collocato sul mercato primario del debito due tranche di titoli perpetui At1 per una somma enorme: 1,5 miliardi di Euro (a fronte di una domanda che ha raggiunto gli 8 miliardi).
Alla fine dello scorso anno, la Repubblica di San Marino (Legge 23 Dicembre 2020 numero 223) ha deciso di emettere titoli di stato “irredimibili”. Ma anche in Italia se ne parla ormai da tempo: nel 2020, il presidente della Consob, Paolo Savona, ha parlato della possibilità di collocare sui mercati finanziari titoli di stato “irredimibili”, da alcuni chiamati anche Btp di Guerra (gli Stati Uniti d’America e alcuni paesi europei li utilizzarono all’epoca della Seconda Guerra Mondiale per finanziare le spese militari e la ricostruzione post bellica).
Un’idea in un primo momento archiviata come “stramberia”. Specie dopo che la CE ha lanciato il Recovery Plan, che prevede 209 miliardi per l’Italia. Ma questi aiuti non sono tutti a fondo perduto. Quindi la necessità di racimolare capitale fresco per far fronte al debito pubblico è solo rimandata (buona parte delle misure contenute nel Recovery Plan sono prestiti che i paesi beneficiari dovranno restituire). Pochi giorni fa, in una conferenza stampa, alla domanda di un giornalista che chiedeva dove prevedeva di trovare le somme per gli aiuti concessi (praticamente una manovra finanziaria ogni due mesi), il Presidente del Consiglio Draghi ha preferito glissare la domanda e dire che questo è il momento degli aiuti, il resto verrà dopo. Un modo di non rispondere che, nel caso in cui il governo decidesse di ricorrere ai bond perpetui, potrebbe significare “mai”.
Resta da capire chi potrebbe acquistare titoli investendo un capitale che rischia di non rivedere più. Mai più.
C.Alessandro Mauceri
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