Economia
Il Vertice UE-Cina? Un Fallimento mascherato da accordo sul clima
Il recente vertice UE-Cina si è concluso con progressi minimi, evidenziando profonde tensioni. Pechino non ha fatto concessioni su commercio e clima, ponendo l’UE in una posizione di svantaggio e umiliazione diplomatica.

Il recente vertice di Pechino tra l’Unione Europea e la Cina si è concluso con progressi minimi, evidenziando profonde tensioni e la quasi totale assenza di concessioni da parte cinese sulle questioni chiave per l’Europa. Il viaggio è stato solo un’umiliante questua per la von der Leyen che non ha neanche portato a casa niente di serio.
Nonostante il tentativo di presentare un fronte unito sulla lotta al cambiamento climatico, l’esito del meeting sottolinea una presa in giro che condanna l’UE all’impotenza industriale, mentre la Cina continua a perseguire i propri interessi economici con politiche aggressive, inclusa la costruzione di centrali a carbone.
Un incontro deludente
La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha espresso chiaramente la necessità per la Cina di aprire il proprio mercato e affrontare il problema della sovraccapacità produttiva. Ha avvertito che, senza progressi concreti su questi fronti, per l’UE sarà “molto difficile” mantenere l’attuale livello di apertura commerciale, cioè ha minacciato dazi, esattamente quello che fa Trump.
L’unico risultato tangibile è stato l’accordo su un nuovo meccanismo per evitare colli di bottiglia nelle licenze di esportazione di minerali critici, una preoccupazione fondamentale per le aziende europee. Tuttavia, si tratta di una misura più reattiva che preventiva. Lo squilibrio commerciale resta enorme e non si vedono misure di riequilibrio.
Il vertice, il primo di persona tra le leadership di UE e Cina dal 2023, è stato persino accorciato da due a un solo giorno su richiesta di Pechino, e la sede è stata spostata da Bruxelles a Pechino dopo il rifiuto di Xi Jinping di recarsi in Europa. Questi segnali, uniti alla mancanza di un comunicato congiunto finale, mostrano una chiara disinteresse da parte cinese a fare concessioni significative, anzi proprio a tenere questo genere d’incontri. Per Pechino non hanno senso, anzi sono perfino fastidiosi. Risulta molto più semplice e diretto fare pressioni sui funzionari europei, come ha saputo esercitare Huawei.
Squilibrio commerciale e sovraccapacità
Le preoccupazioni europee ruotano principalmente attorno al crescente deficit commerciale con la Cina, destinato a superare i 400 miliardi di euro quest’anno. La sovraccapacità produttiva cinese, in settori come veicoli elettrici, pannelli solari e batterie, sostenuta da massicci sussidi statali, porta a un “dumping” di prodotti a basso costo sul mercato europeo, mettendo a rischio l’industria manifatturiera dell’UE. Bruxelles ha già imposto dazi sui veicoli elettrici cinesi, subendo ritorsioni cine su prodotti come brandy, latticini e carne suina.
La Cina, dal canto suo, ha esortato l’UE a mantenere aperti i suoi mercati e a non usare strumenti economici restrittivi, affermando che le sfide attuali dell’UE “non vengono dalla Cina”. Il paese asiatico ha anche imposto controlli sulle esportazioni di magneti a terre rare, essenziali per molte industrie europee, provocando interruzioni nelle catene di approvvigionamento.
La farsa della “Leadership globale” sul clima
Uno degli esiti più discutibili del vertice è stata la “dichiarazione sul clima“, presentata come un segno di unità e un impegno a guidare la transizione globale verso un’economia più verde. Sia Bruxelles che Pechino si sono impegnate a presentare piani climatici aggiornati per il 2035, in linea con l’Accordo di Parigi. Questa mossa, sebbene simbolica, appare come una vera e propria beffa per l’Europa.
Mentre l’UE si impegna in una politica industriale orientata alla neutralità climatica entro il 2050, con obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030, la Cina prosegue imperterrita nella costruzione di nuove centrali a carbone. Nel solo 2023, Pechino ha approvato 66,7 GW di nuove centrali a carbone e ne ha avviate 94,5 GW, il livello più alto dal 2015. La Cina è responsabile del 95% delle nuove costruzioni di centrali a carbone a livello globale nel 2023. Questo massiccio investimento in energia fossile, in un momento in cui l’Europa e altre economie occidentali si sforzano di decarbonizzare, mina la credibilità di qualsiasi accordo climatico congiunto e pone l’UE in una posizione di svantaggio competitivo.
L’impegno congiunto sulla “leadership globale” nel clima, quindi, si traduce in un’impotenza industriale per l’Europa, costretta a conformarsi a standard ambientali rigidi che non trovano corrispondenza nelle pratiche cinesi. L’UE, pur riducendo significativamente le proprie emissioni, si trova a importare prodotti a basso costo dalla Cina, spesso realizzati con processi ad alta intensità di carbonio, vanificando in parte i propri sforzi e mettendo a rischio la propria base industriale.
Il vertice è stato un evento umiliante per la UE, che non ha ottenuto nulla, se non un gentile invito nel proseguire nella propria decadenza per via climatica. Se qualcuno a Bruxelles pensava alla creazione di un asse con Pechino si è rivelato un illuso, se non un traditore degli interessi europei. Una disfatta diplomatica che, comunque, non toccherà i ricchi stipendi dei funzionari UE che hanno portato a questo disastro.
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