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SALARIO MINIMO, IGNORANZA MASSIMA (di Domenico Caruso)

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Nella noiosa, vaga, deprimente illustrazione del cosiddetto programma di governo, tra una invettiva e un’altra, l’unico Presidente del Consiglio della storia nominato per dare discontinuità a sé stesso ha indicato due priorità del nuovo esecutivo: l’introduzione del salario minimo legale e l’attribuzione dell’efficacia erga omnes ai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative in attuazione dell’art. 39 della Costituzione.

L’ex avvocato del popolo ha dimostrato di non essere consapevole degli impatti devastanti che le due misure avrebbero sul mercato del lavoro e sulle relazioni industriali. Sotto questo profilo, l’attuazione del quarto comma dell’art. 39 della Costituzione limiterebbe il principio della libertà sindacale in quanto occorrerebbe costituire una rappresentanza sindacale unitaria abilitata a sottoscrivere il contratto collettivo nazionale con efficacia erga omnes nell’ambito del comparto così come avveniva nel sistema corporativo del ventennio fascista mentre con l’attuale sistema possono coesistere più contratti collettivi efficaci all’interno dello stesso settore produttivo stipulati da varie sigle sindacali utili per ampliare i margini di flessibilità nella definizione delle retribuzioni e dell’organizzazione del lavoro.

Anche se i suddetti contratti sono vincolanti solo per le parti, nella prassi le pattuizioni salariali sono estese anche nei confronti dei soggetti non firmatari poiché nelle controversie in materia di lavoro i giudici applicano la previsione contrattuale più favorevole al lavoratore al fine di assicurare una retribuzione adeguata alla qualità ed alla quantità del lavoro.

L’estensione per via giurisprudenziale dell’efficacia dei contratti collettivi di settore a garanzia del salario minimo dei (pochi) lavoratori non coperti dalla contrattazione e impiegati a condizioni economicamente svantaggiose, priva in radice di ogni validità la proposta di salario minimo stabilito per legge che altro non è se non l’imposizione di un minimo salariale calato dall’alto senza tener conto delle reali dinamiche del costo del lavoro prescindendo dalla principale esigenza di tutela della platea dei beneficiari della misura che è la conservazione del posto di lavoro.

Non è necessaria una laurea in economia ma è sufficiente una laurea in storia per comprendere che la povertà non può essere sconfitta per legge e che il salario minimo riguarderebbe lavoratori poco qualificati impiegati da aziende marginali incapaci di sostenere un aumento del costo del lavoro non correlato all’aumento della produttività e che, pertanto, licenzierebbero i destinatari della misura che non è affatto posta a tutela dei lavoratori.

La soglia del salario minimo lordo a 9 euro l’ora così come è fissata nella proposta del M5S comporterebbe per le imprese con dipendenti un aggravio di costo che se non trasferito sui prezzi porterebbe ad una compressione del margine operativo lordo; se trasferito sui prezzi determinerebbe una perdita di competitività delle aziende nazionali a favore di imprese che, situate all’estero (nei Paesi dell’Est la paga oraria è 1/3 della media europea), possono contare su un minore costo del lavoro e quindi su prezzi più competitivi.

Un ulteriore effetto da non sottovalutare sarebbe la conflittualità tra lavoratori in quanto se i 9 euro sono la paga più bassa per i prestatori meno qualificati, dovrebbe crescere proporzionalmente il salario minimo dei lavoratori più qualificati svolgenti mansioni di maggiore responsabilità.

Il Presidente del Consiglio non sa che un salario minimo troppo alto, fissato a 9 euro (ovvero in misura superiore al 50% della retribuzione mediana), avrebbe un effetto distorsivo sulla domanda di lavoro in quanto alle aziende verrebbe vietato per legge di assumere lavoratori pagandoli meno di 9 euro.

Viceversa, se il minimo legale venisse fissato ad un livello più basso, la misura sarebbe praticamente inefficace e le imprese potrebbero avere un forte incentivo alla fuoriuscita dal sistema contrattuale applicando così il solo salario minimo legale che, in ultima analisi, alimenta la conflittualità e crea disoccupazione.

Il Presidente del Consiglio che non è leader di partito, non ha una base politica propria, è stato scelto dai 5 Stelle da cui ha preso nettamente le distanze ed è sostenuto dalla fiducia delle cancellerie europee risponderebbe che non è nulla di grave, tanto vi è il reddito di cittadinanza che tutela chi non ha lavoro.

Il reddito di cittadinanza è una misura assistenzialistica che fa aumentare il debito pubblico e l’Europa che oggi blandisce il governo giallorosso, domani potrebbe cambiare idea.

Uso i partiti allo stesso modo di come uso i taxi: salgo, pago la corsa, scendo”, diceva Enrico Mattei.

I burocrati di Bruxelles fanno lo stesso con i politici italiani.


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