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Riavviamo le centrali a carbone: giusto, ma sapete quanto costa?

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Alla fine Cingolani e le società produttrici di energia sono state costrette a riaprire, o seriamente prepararsi a riaprire, le vecchie centrali a carbone che, seguendo il Green Deal europeo, dovevano essere assolutamente chiuse, ma che sono invece tornate ad essere rilevati.

Eppure, anche se dal punto di vista dell’offerta energetica, questa decisione è stata necessaria, anzi tardiva, dovrebbe essere perfino ampliata, se vi aspettate che questo venga a portare a dei miglioramenti profondi, allora vi sbagliate fortemente.

Per comprenderlo basta vedere l’andamento del prezzo del carbone a termine secondo l’indicatore di riferimento mondiale, il prezzo del carbone Newcastle

Perfino il prezzo del carbone è aumentato di ben nove volte dai minimi del 2020, e di oltre quattro volte dai massimi del 2019. L’unico lato positivo di questo prodotto, che comunque sinora importavamo, e importiamo, dalla Russia, è che le fonti di fornitura sono geograficamente meglio distribuite, variando dalla Russia, al Sud America (Colombia), all’Oceania, all’Africa , all’Asia.

Ricordo che dal 7 dicembre dovranno, o dovrebbero, cessare le importazioni di carbone russo, il che comporterà anche la necessità, perché sino allo scorso anno il 52% del carbone era di provenienza proprio da quel paese. Questo comporta nuovi contratti, al prezzo nuovo, con quello che ne consegue, e, al contrario del gas, anche volendo la produzione nazionale è limitata essendovi solo il Sulcis come bacino riattivabile.

Tutte le scelte sbagliate vengono al pettine, e ne paghiamo le conseguenze tutte assieme.

 

 


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