Economia
Reggio Emilia: l’epilogo del “Disastro Max Mara”, tra Poli spariti e lotte interne
Una saga tra polemiche, un voto “condizionato” e le accuse di Max Mara: il maxi-investimento del Polo della Moda a Reggio Emilia da oltre 100 milioni è naufragato. Un dramma politico-economico senza precedenti

Ricapitoliamo le puntate precedent di questa telenovela sul mega investimento scomparso a Reggio Emilia:
La vicenda del Polo della Moda di Max Mara a Reggio Emilia si è trasformata in un vero e proprio dramma politico-economico. Il progetto, che prevedeva un maxi-investimento di oltre cento milioni di euro e la creazione di un polo strategico per l’industria della moda e l’occupazione locale, è naufragato tra polemiche e accuse.
La decisione di Max Mara Fashion Group di abbandonare irrevocabilmente l’iniziativa è stata un fulmine a ciel sereno, motivata da un “clima politico divisivo e attacchi alla reputazione del Gruppo”, come dichiarato dall’AD Luigi Maramotti. La genesi di questo disastro risale a uno sciopero delle operaie di Manifatture San Maurizio e della CGIL, avvenuto poco prima della presentazione ufficiale del progetto. Quella che doveva essere una semplice vertenza sindacale è degenerata rapidamente in un circo mediatico, con dibattiti che hanno raggiunto persino il Parlamento a Roma, trasformando una questione locale in un affare di stato surreale.
Il colpo di grazia è arrivato il 25 giugno, quando il Consiglio Comunale di Reggio Emilia si è concentrato non sui meriti urbanistici ed economici del progetto, ma sulle relazioni industriali interne a Max Mara. Il voto favorevole al piano attuativo è stato percepito dalla famiglia Maramotti come un “voto condizionato a future verifiche sul comportamento del nostro gruppo”, un’ingerenza inaccettabile. Le successive dichiarazioni pubbliche del Sindaco Marco Massari sulle condizioni di lavoro hanno fatto “traboccare il vaso”, spingendo l’azienda a ritirarsi da un impegno pluridecennale. Un autentico capolavoro di autodistruzione politica.
Voci critiche si sono levate anche all’interno dello stesso fronte politico: Maura Manghi (Italia Viva) e Daria De Luca (PSI) hanno denunciato la “leggerezza” e l’eccessivo “appiattimento sulle posizioni di una sola sigla sindacale” da parte del Comune, a scapito di un’analisi più equilibrata e dell’ascolto di tutte le parti coinvolte. Un quadro che ha mostrato una politica locale forse più interessata alle dinamiche interne che al bene comune.
L’Ultima puntata: ci si ricorda degli altri lavoratori, e l’opposizione di ridesta
E mentre la politica si accapigliava, il sindaco Massari, in un tentativo di riequilibrare la sua posizione, ha incontrato una delegazione di dipendenti della Manifatture San Maurizio che non appoggiavano la CGIL nel contenzioso. Queste lavoratrici, in rappresentanza delle 74 firmatarie di un comunicato stampa, hanno descritto “condizioni lavorative assai diverse da quelle illustrate dalle colleghe che hanno avviato una vertenza sindacale,” parlando di “condizioni di lavoro positive, attente e rispettose dei diritti delle lavoratrici.” Hanno addirittura definito “inaccettabili i toni aggressivi, le accuse personali e alcune espressioni utilizzate durante la protesta, come ‘schiave’, ‘obese’ o ‘mucche da mungere'”.
È interessante notare come queste lavoratrici abbiano preferito mantenere un basso profilo, incontrando il Sindaco un po’ alla chetichella. Dopotutto, l’ambiente a Reggio, come dimostra questa vicenda, non sembra proprio un luogo dove le voci discordanti possano esporsi in tutta sicurezza. Eppure questi lavoratori rappresentano una fetta non secondaria del totale della forza lavoro.
Dal fronte dell’opposizione, il Gruppo Consiliare di Fratelli d’Italia ha affondato il colpo. Marta Evangelisti, Capogruppo FDI in Regione Emilia Romagna, e Alessandro Aragona, Consigliere Regionale reggiano e Vicepresidente della Commissione Politiche Economiche, hanno parlato di “Un danno reputazionale e di immagine enorme, che non ha eguali nella storia economica e produttiva della Regione Emilia Romagna”. Hanno puntato il dito sull'”inadeguatezza di una classe politica incapace non solo di intrattenere rapporti di reciproca fiducia con le grandi realtà imprenditoriali del territorio, ma anche di creare le condizioni necessarie affinchè la nostra Regione rappresenti, non solo per le eccellenze italiane ma anche per gli investitori esteri, il luogo ideale in cui fare buona impresa in perfetta sinergia tra investitori privati e attori istituzionali.” In poche parole, un disastro con nomi e cognomi ben precisi.
La morale della favola (amara): quando le parole hanno un prezzo
Per un contenzioso sindacale, e non certo per un licenziamento di massa, il Comune di Reggio Emilia ha fatto un pasticcio epocale, mandando in fumo un investimento da 100 milioni di euro. Sembra che l’amministrazione si sia accodata alla CGIL come se ne fosse la propaggine amministrativa. Con questo metro, Modena, che ha visto la crisi e i licenziamenti alla Maserati, avrebbe dovuto dichiarare lo Stato d’Assedio! Invece con Stellantis tutti buoni e tranquilli, chissà come mai.
Il fatto è che, a volte, i politici sembrano convinti di poter dire e fare tutto impunemente, senza conseguenze, perché la società, soprattutto quella emiliana, è stordita tra incertezza economica e insicurezza sociale e personale. Poi, ogni tanto, incontrano qualcosa che gli insegna che le parole hanno un peso, e le conseguenze possono essere pesantissime. Una lezione che si può pagare a caro prezzo.
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