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Politica

IL NOCCIOLO DEL PROBLEMA

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Gli avvenimenti di Parigi, benché orribili, potrebbero essere stati utili a far capire alla gente che è stato assurdo disinteressarsi degli infiniti attentati contro Israele: siamo forse ebrei, noi? Assurdo disinteressarsi dell’Undici Settembre americano: siamo forse americani, noi? Perfino quando abbiamo letto di orrendi massacri in Pakistan o in Nigeria, in fondo al cuore molti hanno pensato: siamo forse neri, siamo forse asiatici, noi? Un po’ per rassicurarci, e molto per vigliaccheria, abbiamo sempre cercato una differenza fra noi e le vittime. I terroristi massacrano i bambini di Beslan? Ma noi non siamo russi. Non tendiamo, come loro, ad invadere e dominare tutti i nostri vicini.

Insieme con questa subitanea presa di coscienza si pone il problema di sapere in che modo si può combattere il pericolo. Non serve dire: “Siamo in guerra”. La guerra prevede due eserciti che si contrappongono, in divisa e con le armi in bella evidenza. Qui invece bisogna lottare contro un nemico che si nasconde fra la popolazione civile, attacca a tradimento cittadini inermi e fugge via. Il colmo della vigliaccheria, se si vuole: la lotta dunque richiede un’altra tecnica. Se si possono scegliere gli alleati, non si possono scegliere i nemici.

Il nòcciolo del problema non è se questo terrorismo sia collegato o no all’Islàm. Lasciamo la questione agli intellettuali, e per competenza agli storici della Notte di San Bartolomeo. A noi, prosaicamente, interessa non essere ammazzati. Il problema è tecnico e da risolvere senza dimenticare che necessitas legem non habet. Per difendere la vita di nostro figlio uccideremmo anche cento nemici.

E qui bisogna fare un passo indietro. Se noi siamo colpevoli di non esserci sufficientemente interessati del terrorismo quando ha colpito altri Paesi, non siamo però gli unici colpevoli. Israele non ha avuto pace ed ha subito ogni genere di atrocità, finché non è riuscito a mettere fra sé e i palestinesi un lungo muro. Cosa naturalmente deprecata dalle anime belle nostrane, che soffrivano nel veder togliere ai poveri ragazzi palestinesi, già tanto sfortunati, l’innocente divertimento di ammazzare donne e bambini israeliani. E tuttavia la solidarietà verso quella minuscola democrazia è stata sempre stentata. La pietà internazionale è andata a chi ha dichiarato guerra ad Israele nel ’48, nel ’67 e nel ’73, col chiaro intento di massacrare tutti i suoi abitanti. Tanto che si è considerata data iniziale del terrorismo internazionale l’Undici Settembre: perché è in quella data che gli americani si sono accorti che il terrorismo li riguardava personalmente. E anche noi, feudo intellettuale americano, abbiamo preso coscienza del fenomeno. Ma tutti, col tempo, ci siamo acquetati, perché alla tempesta è seguita la bonaccia e non abbiamo badato molto alla risposta che l’America ha dato al pericolo.

Oggi è di moda dare addosso a George W.Bush per i controlli sulla vita dei cittadini, per la Nsa, per Guantánamo, e tutti dimenticano che, nei giorni, nelle settimane, nei mesi  successivi all’11 Settembre, gli americani sono vissuti col cuore in gola. Tutti aspettavano il prossimo colpo, meravigliandosi che già non si verificasse. Bush invece ha preso in mano la situazione e si è chiesto se importasse di più preservare i valori della democrazia americana o la vita dei cittadini. Ha scelto la vita dei cittadini. A qualunque costo. Ed è riuscito tanto bene a preservarla, che quegli stessi cittadini hanno considerato normale essere sopravvissuti, e anormale che, per difenderli, si fosse dovuto stravolgere qualche principio di legalità democratica.

Sono passati dodici anni, la violenza dei criminali fanatizzati colpisce Parigi, e ci rendiamo finalmente conto che anche noi abbiamo dei giornali e dei supermercati. Dunque dobbiamo chiederci che cosa sia preferibile, se mantenere intatte tutte le nostre guarentigie – e magari processare e condannare agenti italiani e statunitensi che spediscono in Egitto un fomentatore di terrorismo – oppure pretendere che gli imam predichino in italiano, che non si vada in giro  nascosti dal chador, che non si osi invitare al razzismo e all’antisemitismo, e che si spediscano in prigione, o ancor meglio fuori dall’Italia, i fomentatori di odio.

Questo continente, ubriaco di settant’anni di pace, crede di disarmare il nemico tendendogli la mano. Bisognerebbe invece essere rigorosissimi, e al limite intolleranti, verso chiunque metta in discussione i nostri principi di tolleranza democratica e di civile convivenza. Ai musulmani che si sentissero discriminati dovremmo rispondere: “Come ha detto qualcuno, non tutti i musulmani sono terroristi, ma quasi tutti i terroristi sono musulmani”. Se volete non essere discriminati, ad ogni atto di terrorismo dovrete scendere in piazza con noi, agitando cartelli che gridano: “Allah non chiede a nessuno di uccidere”.

Gianni Pardo, [email protected]

10 gennaio 2015


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