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Il Venezuela potrebbe approfittare del caos attuale e annettere la Guyana?

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Le tensioni su un’annosa disputa di confine tra Venezuela e Guyana si stanno nuovamente acuendo, in un ambiente internazionale sempre più instabile e con il ruolo degli USA sempre più messo in discussione in Sud America.

Il contrasto, che dura da decenni, ha origine dalla rivendicazione del Venezuela sull’Essequibo, una regione della Guyana occidentale poco popolata ma ricca di risorse e prevalentemente caratterizzata dalla giungla, che comprende quasi due terzi del territorio dell’ex colonia britannica. L’attacco a sciabola di Maduro fa seguito alle scoperte di petrolio di livello mondiale effettuate dalla Exxon nelle acque territoriali della Guyana. La rivendicazione territoriale del Venezuela include le acque al largo della costa dell’Essequibo, che contiene molte di queste scoperte petrolifere. L’ultima fiammata è un tentativo del disperato regime di Maduro di accedere a risorse urgenti e necessarie, distraendo al contempo la popolazione venezuelana dalle disastrose condizioni economiche del Paese.

La disputa sull’Essequibo risale al 1830, quando il Venezuela si separò dalla Gran Colombia per diventare uno Stato sovrano indipendente. Nel 1835, l’Impero britannico inviò l’esploratore di origine tedesca Robert Herman Schomburgk a mappare la Guyana e a tracciare un confine con il Venezuela. Il confine tracciato da Schomburgk scatenò le proteste del Venezuela, con Caracas che sosteneva che la Gran Bretagna stava invadendo il territorio del Paese.

Questo evento diede il via alla disputa territoriale, che a tutt’oggi è rimasta irrisolta con soddisfazione di entrambe le parti. Vari tentativi di arbitrato, tra cui il lodo arbitrale del 1899, l’accordo di Ginevra del 1966, il protocollo di Port of Spain del 1970 e l’accordo di buoni uffici del 1990, non sono riusciti a risolvere la controversia in modo soddisfacente.

L’ultima serie di attacchi di Maduro è iniziata dopo che la Guyana ha lanciato la sua prima asta petrolifera in assoluto con 14 blocchi offshore in offerta, con otto offerte ricevute, tra cui quelle delle multinazionali energetiche Exxon e TotalEnergies. Il ministero degli Esteri venezuelano, da Caracas, ha rilasciato all’inizio del mese una dichiarazione (in spagnolo) in cui afferma che “la posizione arrogante e ostile della Guyana, che nega il dialogo e la diplomazia, è il più grande ostacolo al raggiungimento di una soluzione”.

Il ministero ha poi affermato: “La Guyana si mostra ancora una volta come un governo subordinato, ostaggio della transnazionale ExxonMobil, che le impedisce di riprendere un dialogo sovrano con il Venezuela”.

Nella dichiarazione si legge anche che:

“Avvisiamo la comunità internazionale delle intenzioni degli Stati Uniti di creare, nella nostra zona di pace dell’America Latina e dei Caraibi, una base militare nella Repubblica di Guyana, per trasformare questo Paese nella punta di diamante di un’operazione di aggressione contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela, che metterebbe a rischio la pace e la stabilità dell’intera regione. Il popolo e il governo del Venezuela, uniti nella difesa della patria, non cederanno né si lasceranno intimidire da pressioni, ricatti o minacce quando si tratterà di difendere la sacra patria”.

Il governo della Guyana a Georgetown si rifiuta di partecipare agli incontri proposti da Maduro, e a ragione, avendo deferito la questione alla Corte internazionale di giustizia (CIG) per la risoluzione. La Corte internazionale di giustizia gestisce la disputa territoriale su richiesta della Guyana dal 2018, e in una sentenza del 2020 ha affermato di avere giurisdizione sulla questione. Poi, in una sentenza dell’aprile 2023, la Corte ha ritenuto ammissibili le obiezioni preliminari sollevate dal Venezuela in una memoria del giugno 2022, che contestava essenzialmente la giurisdizione della CIG sulla controversia. Da allora, la Corte non ha rilasciato ulteriori dichiarazioni materiali sulla questione. Quindi, rispetto al diritto internazionale, la questione è chiusa e definita a favore di Georgetown. 

La Guyana è stata la meta di rifugiati in fuga dal Venezuela a causa della crisi precipitata dalla corruzione endemica e dall’estrema cattiva gestione dell’economia e dell’industria petrolifera finanziariamente cruciale da parte del regime autocratico di Maduro. Si stima che degli oltre 7 milioni di venezuelani fuggiti dal Paese dal 2015, circa 100.000 si siano stabiliti in Guyana, pari a circa l’ottavo della popolazione del Paese. Ciò fa temere che un afflusso così massiccio di rifugiati venezuelani nella minuscola ex colonia britannica, che conta meno di un milione di abitanti, possa scatenare dissensi civili e altri problemi, soprattutto se Maduro intensificherà il suo sciabolate.

La Guyana si trova anche nella poco invidiabile posizione di essere potenzialmente incapace di respingere militarmente un’eventuale invasione dell’Essequibo da parte del Venezuela. Rispetto all’esercito venezuelano, che si colloca al terzo posto in Sud America dopo Colombia e Brasile, le forze di difesa della Guyana sono limitate in termini di dimensioni ed equipaggiamento. Mentre il Venezuela possiede carri armati, artiglieria e aerei moderni, oltre a una considerevole flotta navale, la Guyana ha pochissime attrezzature belliche moderne. Il Venezuela si appoggia poi agli aiuti militari di Russia , Iran e Cina, mentre sappiamo che gli USA sono sempre meno interessati al Sud America e la UE si conferma il verme militare che è sempre stato. Il Regno Unito, che era la potenza coloniale del paese, si trova già fortemente impegnato con gli aiuti militari in Ucraina. La Guyana non può che affidarsi a qualche alleato su americano, ma quale? La Colombia e il Brasile hanno attualmente due governi non interessati ad affrontare direttamente Caracas.

Perfino Hamas ha una presenza in Venezuela. In un momento in cui la forza militare si sta riaffermando come uno strumento di risoluzione, o di riacensione, dei conflitti internazionali la Guyana si trova ad essere in una posizione fragilissima. L’unico aiuto può venire dal desiderio di Maduro di riprendere comunque le proprie esportazioni petrolifere verso Europa e USA, fatto che trattiene la sua aggressività militare. Altrimenti a Georgetown vi sarebbe un nuovo padrone. Tutto per l’incapacità totale di Biden nella politica estera, che ha causato disastri di cui si parlerà nei secoli futuri.


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