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Il rovescio dei “diritti”

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Il tormentone post elettorale della sinistra (più gettonato di una hit estiva) è stato il seguente: perché abbiamo perso? Sul faticoso dilemma si sono cimentate le vette del pensiero progressista, ma senza risultati significativi, a parte scoprire quanto sa essere piatta una vetta. Nessuno, a quanto ci risulta, ha proposto la seguente chiave di lettura: quell’area ha perso per colpa dei “diritti”. Incredibile, eh? I “diritti” sono una parola magica e suggestiva, come “democrazia”. Chi parla di diritti e di democrazia sta dalla parte del bene, per definizione. E, dunque, una forza politica autonominatasi “democratica” nonché paladina dei “diritti” dovrebbe trionfare. Perlomeno, secondo quell’altro abusato cliché narrativo secondo cui il bene vince sempre, alla fine.

Invece, i democratici hanno perso. E – oltre a biasimare le famigerate “destre” – altro non fanno se non interrogarsi sul perché il popolo sia impazzito al punto da non saper più distinguere chi tutela i “diritti” e chi garantisce la “democrazia”. Ora, la domanda giusta potrebbe essere la seguente: quali diritti invocate, cari compagni, quando evocate i diritti? Forse i diritti di cui voi parlate quando parlate di diritti, non sono più i diritti a cui il popolo pensa quando pensa ai diritti. Sembra uno scioglilingua, ma non è difficile da capire. I diritti “pop”, diciamo pure vintage, sono roba tipo il diritto di parola, il diritto di circolazione, il diritto al lavoro, il diritto alla salute, il diritto alla pensione, il diritto alla assistenza sociale.

Non ci crederete, ma sono tutti inscritti nella Costituzione a far data dal 1948. E la vostra ghenga ha contribuito a triturarli, calpestarli, ignorarli, sbeffeggiarli senza tregua negli ultimi trent’anni: prima aderendo acriticamente a una “agenda” europea costruita su un modello ordoliberista e ipercompetitivo esattamente antitetico a quello dei padri costituenti. Poi, nell’ultimo biennio, con le deliranti nuove “regole” pandemiche.

I vostri diritti, invece, sono quelli a cui fa riferimento la ministra francese Boone quando dice che (dopo la vittoria della Meloni) vigilerà sul rispetto dei “diritti” in Italia. Anche lei non li enuncia perché basta la parola: “diritti”. Ma sapete bene a cosa si riferisce: a cose tipo il diritto di cambiare sesso, il diritto a essere “fluidi”, il diritto a essere bi o trans o +, il diritto ad avere due padri o due madri, il diritto all’affitto (di uteri) al miglior offerente, il diritto di abortire fino al nono mese, il diritto ai pannelli solari, al monopattino e all’auto elettrica. Ecco a cosa si sono ridotti i “vostri” diritti: a un coacervo di bisogni “modernissimi”; nella migliore delle ipotesi mai sperimentati dalle masse, nella peggiore inventati di sana pianta dalle elite dominanti e “illuminate”.

Ma voi avete la pretesa, e la funzione, di trasformarli nei diritti universali su cui costruire un “mondo nuovo” così simile all’omonimo romanzo di Aldous Huxley. Con tanti saluti ai diritti “tradizionali” (per i quali la vecchia sinistra si batteva) ed, en passant, a quella società “naturale” fondata sul matrimonio di cui all’articolo 29 della Suprema Carta.

Ecco perché avete perso, cari Compagni, ma non dovete disperare. Ciò che oggi non è ancora sbocciato nella coscienza popolare, potrebbe maturare domani. L’agenda dei nuovi “diritti” è perfettamente in sintonia con quella dei padroni del mondo (contro i quali, una volta, i vostri nonni combattevano le proprie battaglie). Voi, invece, siete la loro avanguardia politica. Con una missione sinistramente comune a certi lugubri regimi del secolo breve: “forgiare” l’uomo del futuro. Sradicandone i diritti vetusti con la falce dell’irrisione. E inculcandovi i nuovi col martello della manipolazione.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com


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