Attualità
Il pasticcio del “salva banche”: violata per gli obbligazionisti subordinati la stessa legge sulla risoluzione delle crisi bancarie
Il D.L. 183/2015 che istituisce le quattro nuove banche-ponte alle quali vengono trasferite le attività “sane”, ossia i crediti non in sofferenza, e le passività garantite, ovvero quelle verso i correntisti e gli obbligazionisti c.d. senior, omette di indicare la sorte delle passività non garantite, costituite dalle azioni e dalle obbligazioni c.d. junior, definite anche subordinate, in quanto vengono (eventualmente) rimborsate dopo il soddisfacimento degli altri creditori garantiti. Per capire quale è stata la loro fine bisogna leggere la nota rilasciata dalla Banca d’Italia dal titolo “Informazioni sulla soluzione delle crisi di Banca Marche, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Carichieti e Cassa di Risparmio di Ferrara“. La lettura di tale nota è illuminante, ma solleva anche parecchi interrogativi che cercherò di illustrare.
La Banca d’Italia ci dice espressamente quello che ormai tutti sanno, ovvero che vengono create quattro nuove Banche, definite “buone” a cui va l’attivo sano e le passività garantite come prevede il decreto legge ed una Banca “cattiva” in cui confluiscono le attività deteriorate dei quattro originari Istituti, i titoli degli azionisti e dei possessori di obbligazioni subordinate. Quest’ultima, ci informa la Banca Centrale, non potrà esercitare attività bancaria, ma il suo unico scopo sarà quello di cercare di riscuotere i crediti in sofferenza o cederli a società specializzate. Prima di ciò la “bad bank” dovrà ridurre il suo passivo azzerando il debito verso gli azionisti ed obbligazionisti junior, cioè in altre parole portare a zero il valore nominale delle azioni e delle obbligazioni detenute dai risparmiatori. Il residuo scoperto sarà pareggiato dal Fondo di Risoluzione interbancario, costituito dagli apporti di tutti gli Istituti di Credito operanti in Italia, per una cifra stimata intorno agli 1,7 miliardi di euro. Queste somme erogate saranno quindi recuperate dalla riscossione o vendita dei crediti deteriorati, prudentemente ridotti da un valore di 8,5 miliardi ad uno di realizzo di 1,5 miliardi.
E qui sorge il problema: cosa accade se si realizza una somma maggiore dalla riscossione/vendita? Giustizia e diritto vorrebbero che l’eventuale surplus rispetto al rimborso di quanto erogato dal Fondo, che assume la veste di creditore privilegiato, andasse a rimborsare almeno in minima parte gli obbligazionisti subordinati che sono pur sempre dei creditori. Bankitalia ci dice invece che il surplus andrà sempre al Fondo di Risoluzione, ovvero al sistema bancario, per coprire il finanziamento dato alle Banche “buone” per la loro operatività, le quali banche, peraltro, poiché una volta ripulite sono destinate alla vendita, dovrebbero secondo i piani già garantire il rimborso del prestito erogato (pari a 1,8 miliardi).
Questa previsione è totalmente illegittima.
Il D.L. 180/2015 che istituisce la soluzione del Piano di Risoluzione come alternativa alla liquidazione coatta o al fallimento all’art. 85 recita testualmente
In caso di applicazione del bail-in, gli azionisti e i creditori i cui crediti sono stati ridotti o convertiti in azioni non possono subire perdite maggiori di quelle che avrebbero subito se l’ente sottoposto a risoluzione fosse stato liquidato nel momento in cui e’ stata accertata la sussistenza dei presupposti per l’avvio della risoluzione, secondo la liquidazione coatta amministrativa disciplinata dal TUB o altra analoga procedura concorsuale applicabile.
Ora nel caso delle quattro banche salvate, non solo non si prevede alcuna conversione in azioni – che già sarebbe discutibile, poiché trasformerebbe il contratto di sottoscrizione delle obbligazioni unilateralmente, modificandone addirittura l’oggetto – ma si prevede l’azzeramento totale del credito degli obbligazionisti subordinati, anche in caso di possibile attivo residuo, detratto il rimborso del Fondo, con un netto peggioramento rispetto all’ipotesi di liquidazione o fallimento dove tali obbligazionisti, dopo che fossero soddisfatti i creditori di ordine superiore, avrebbero partecipato alla spartizione del residuo e comunque non avrebbero perso il diritto fino a che ci fosse stato un possibile attivo da liquidare, attivo derivante anche dalle azioni nei confronti degli amministratori e responsabili del dissesto.
Tale salvataggio, oltre a violare la stessa legge che in generale regola le risoluzioni, risulta pertanto violare l’art. 2740 c.c. che prevede la responsabilità del debitore verso i creditori con tutto il suo patrimonio e di riflesso la Costituzione per violazione degli articoli 3 (principio di uguaglianza di trattamento) e 47 (tutela del risparmio).
È evidente quindi che qualsiasi detentore di obbligazioni subordinate – che ricordiamolo, pur con l’handicap di vedersi soddisfare per ultimo fra gli obbligazionisti è pur sempre un semplice creditore della Banca, come tale rientrante fra coloro che vantano un vero e proprio diritto al pagamento tutelato dal Libro IV Titolo I del Codice Civile – potrà impugnare la liquidazione nel momento dovesse palesare un attivo ulteriore rispetto ai rimborsi del passivo trasferito nella “good bank” e del versamento complessivo effettuato dal Fondo di Risoluzione, chiedendo un ristoro anche parziale del proprio credito.
Solo un’ultima notazione: se un privato avesse effettuato quanto prevede il decreto licenziato dal Governo, sarebbe stato incriminato per bancarotta per distrazione. Tanto per far capire la correttezza del provvedimento…
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