Europa
Il Capo Economista della BCE Praet dice che il debito pubblico italiano si è stabilizzato (???): gli Ignavi ed il Vaso di coccio italico
Il capo economista della BCE, probabilmente a seguito delle dichiarazioni del proprio presidente Mario Draghi la scorsa settimanai, è intervenuto a supporto dell’Euro commentando sulla stabilità dell’Italia, essendo le due cose coincidenti (l’instabilità italiana può effettivamente far deragliare i progetto europeo).
Leggendo le trascrizioni riportate da La Stampa di Torino, testata che come nessuna sembra oggi impersonificare l’europeismo più viscerale e incondizionato (e non stupisce visto che la proprietà torinese è quella che in Italia ha approfittato maggiormente dalla conversione delle immense fortune accumulate in passato grazie all’industria residente in Italia con la conversione del patrimonio da instabile lira a solido euro), la cosa che colpisce sono le falsità delle affermazioni citate. Una in particolare, cruciale: mentre quando dice che l’Italia è uscita dalla recessione – presa di posizione comunque poco realistica – essa può essere supportata statisticamente, è imbarazzante realizzare che chi dovrebbe analizzare le prospettive economiche del continente affermi che il debito statale italiano si sia stabilizzato. Ciò è semplicemente e totalmente falso, sentire tali parole dal capo degli economisti della BCE può significare solo una cosa, ossia azzardare previsioni alla Saccomanni (…): dati alla mano il debito pubblico italiano è in costante ascesa da 4 anni a questa parte, come si fa a dire che il debito non crescerà, con che coraggio e su che basi? Che siano tutti d’accordo? Tengo a sottolineare che è bene leggere con attenzione l’intervista del capo economista della BCE – vedasi referenza in calce – in quanto la redazione de La Stampa sembra metterci del suo nell’interpretare anche nel titolo le conclusioni di Praet, nella persona di Tonia Mastrobuoniii. Non dobbiamo dimenticare, soprattutto di questi tempi, quanto sia importante tranquillizzare…
Forzata o meno che possa essere l’interpretazione data da La Stampa – non sarebbe la prima volta – vale comunque la pena di usare la chiave di lettura introdotta precedentemente per interpretare il contesto generale che stiamo vivendo in Europa: Praet è solo un elemento del progetto dell’euro austero, come vedremo di seguito. Dunque, stando a quanto indicato dalla testata torinese, dovremmo chiederci perché un economista serio e stimato come il succitato si spinga a fare affermazioni tanto ardite quanto assurde. E torniamo sempre allo stesso punto, la Germania torna a fare paura in Europa e pochi – per dire quasi nessuno – degli appartenenti all’intellighenzia continentale hanno il coraggio di andare contro al titano teutonico. Ossia, qualcosa di simile a quanto accadde prima dell’ultima guerra, periodo in cui i supporters del nazismo in cerca di una risposta alla crisi irrisolta degli anni venti – crisi che aveva messo in evidenza l’incapacità della politica a dare soluzioni concrete – erano numerosissimi, trasversali e soprattutto molto influenti, addirittura apicali nelle gerarchie globali (i Kennedy, i Bush, gran parte della corona inglese degli Hannover incluso Filippo d’Edinburgo, il futuro re Edoardo VIII, Henry Ford, senza contare i finanziamenti alla campagna di riarmo nazista provenienti dal cuore della finanza americana, ossia la Chase Bank dei Rockefeller anche in rappresentanza di molti altri potentati economici dell’epoca). Insomma, per uscire dalla crisi tutto era giustificato, allora come oggi, anche accettare il nazismo come modello. Le cose non sono cambiate di molto: la classe politica attuale dovrebbe essere spazzata via per l’incapacità di affrontare l’emergenza economica (e non è detto che non succederà in futuro), impotente nel dare soluzioni utili per le cittadinanze. Per uno strano scherzo del destino il comunismo – unica alternativa ideologica al capitalismo degli ultimi 100 anni – sparì più o meno in coincidenza con l’inizio della crisi del capitalismo neoliberista post sovietico, per cui oggi non esiste una strada diversa rispetto al modello economico conosciuto. E nemmeno aiuta rifarsi alla prima guerra mondiale, le condizioni al contorno erano sì molto simili all’attuale (Germania alla ricerca di un posto al sole nel potere globale sfruttando le debolezze altrui, unitamente ad un sistema economico capitalistico che presentava i primi sintomi di stanchezza) ma con differenze sostanziali date soprattutto dalla presenza nell’Europa di 80 anni or sono di potenze alternative ed in competizione al gigante centro europeo, fatto che poteva – come successe – di per sé equilibrare e quindi contenere lo scontro all’interno dei confini europei, il controllo del mondo in quel periodo passava prima per l’Europa. Importante, vale la pena inoltre ricordare come la prima guerra mondiale fu dichiarata non dalla Germania, che la sobillò, ma dall’impero Asburgico in forte crisi di sostenibilità anche multiculturale: fa sorridere come il minimo comune denominatore tra la grande guerra e l’ultima fu proprio l’immancabile voracità tedesca, sempre pronta a cogliere le debolezze altrui per soddisfare le proprie irrefrenabili ambizioni di potere.
E’ chiaro che rispetto al passato esistono le armi di distruzioni di massa definitive, fatto che di per se impedisce scontri all’ultimo sangue, canalizzando le guerre del futuro verso ambiti storicamente anticonvenzionali, spostandole ad esempio in ambito economico. Parimenti esistono altri attori globali che, di fatto, non possono essere messi in discussione, prima di tutto la Cina con la sua immensa popolazione. Dunque, in questo contesto lo scontro europeo, la persistente ambizione egemonica della Germania, deve giocoforza rimanere confinata inizialmente all’Europa e questo impone una forte sudditanza psicologica delle elites al progetto tedesco, ben sapendo quanto il pragmatismo teutonico possa opprimere e fare male.
La realtà è quindi una semplice corsa a schierarsi, soprattutto ideologicamente ed economicamente. L’Italia, paese con grandi risparmi, buone aziende, un substrato industriale che fa gola oltre che competizione alla Germania, parimenti un paese diviso e senza un vero spirito di patria, è il vero vaso di coccio in mezzo a vasi de fero, ossia può essere una risorsa utile ad una soluzione parziale alla crisi: accedere alle ricchezze italiche e trasferirle con l’austerity all’estero certamente non risolverà la depressione europea in atto, ma indubitabilmente aiuterà le classi politiche europee a saziare la fame delle proprie popolazioni con beni tangibili, ben conscie del fallimento delle politiche neo-liberiste successive alla caduta del muro di Berlino e quindi prone a ribaltarne gli equilibri – l’economia è quello che fa mangiare la gente, per assurdo lo spauracchio del modello alternativo comunista evitò al capitalismo gli insostenibili eccessi che si concretizzarono dal 1990 in poi e che sono alla base del disastro attuale –. In questo contesto le famiglie dei grandi capitali, sempre più sproporzionatamente ricche e potenti rispetto alle crescenti masse di poveri, le cui fila sono ingrossate dagli appartenenti alla media borghesia caduta in disgrazia economica, devono cercare in qualche modo di abbassare i toni e mandare messaggi di tranquillità onde evitare di vedere le proprie fortune andare in fumo. Ed ecco l’estrema attenzione alla comunicazione, ai media, alla stampa, agli sport sponsorizzati: fai assopire il popolo, in modo che non si svegli dal torpore e possa crearti danno, questo sembra essere il mantra. Chi scrive è per altro un fervente anticomunista e proprio per tale ragione ritiene che l’annientamento della classe media sia fatto gravissimo che condurrà inevitabilmente ad un ritorno di qualche forma di autoritarismo mirato all’appiattimento, un’uguaglianza incondizionata non discriminata sul merito del singolo. Dunque, vi prego di leggere queste poche righe in termini storici e non contemporanei, senza alcuno schieramento di partito: è un dato di fatto che per una questione culturale e di retaggio legato alla predominanza generazionale del capitalismo, nessuna società occidentale moderna oggi in crisi economica possa essere contemporaneamente democratica, in pace e povera. In questo contesto eventuali tendenze verso l’autoritarismo e/o l’espansionismo estero – per chi se lo può permettere – sono un corollario di un sistema oggi in forte tensione, possibilmente a danno dei vicini più deboli (meglio se ricchi).
Aggiungo un ultimo punto: allo stato attuale in Europa non esiste un paese sufficientemente ricco e forte che possa sfidare la Germania, leggasi non c’è più l’Inghilterra coloniale di Churchill. Dunque, la strada è spianata, l’unico ostacolo per la conferma dell’egemonia continentale da parte della Germania sono i moti rivoluzionari nei paesi oggi sotto pressione, ricordando come la crisi europea comporti contemporaneamente impoverimento e deindustrializzazione di chi la subisce (appunto, i periferici) e un incremento di benessere ed attività economica dei paesi che la governano (Germania in testa). E’ quindi una facile previsione affermare che tali moti di protesta contrari al disegno euro tedesco verranno inevitabilmente schiacciati, gli interessi in gioco sono troppo grandi (chi scrive preconizza purtroppo forme di protettorato economico sotto la bandiera europea nei paesi europei oggi in tensione economica)
Contro la depressione non esistono ricette valide ed è proprio per questa ragione che le elites sono costrette ad allinearsi al nuovo dominus continentale. E Praet, possibilmente assieme a varie testate giornalistiche nazionali, è necessariamente parte dello stesso grande gioco: le affermazioni del capo economista della BCE come riportate da La Stampa sono chiaramente false nei punti sopra indicati, e questo si giustifica con la necessità sia di allinearsi agli interessi tedeschi che di contribuire a calmare le masse, sempre più nervose per una crisi senza soluzioni all’orizzonte. E dunque si supporta il governo di E. Letta e l’euro definito come insostituibile, il Letta uomo del sistema continentale stando almeno all’inconcludenza che emerge delle misure attuate con la legge di Stabilità, misure che per inciso sono foriere di un’equivalente estrema incisività di ulteriori provvedimenti straordinarie là da venire con il fine non tanto di far uscire l’Italia dalla palude della depressione quanto piuttosto di mantenere l’euro come strumento di potere in mano alla Germania, drenando ricchezza e impresa dalla periferia al centro (la cancelliera Merkel sta attuando alla perfezione un piano estremamente ambizioso e complesso, ottenendo il massimo dei risultati per il proprio Paese; è davvero impressionante la capacità della classe politica tedesca dei primi anni del terzo millennio)..
Infatti il problema non è Praet in quanto tale e nemmeno la Germania, ma piuttosto l’atteggiamento delle popolazioni che devono sorbirsi – inerti e senza reagire – queste emerite fandonie senza accorgersi del piano sottostante di egemonia continentale della Germania a scapito dei propri interessi nazionali, piano neanche tanto occultato oramai. Ossia, Italiani sveglia: qui a forza di subire, azzerbinandosi al potente di turno, si finisce in miseria facendo arricchire il vorace vicino teutonico! Infatti ignavo fa rima con schiavo, concretizzando la transizione verso la sottomissione per il tramite degli immancabili collaborazionisti – anche e soprattutto politici, da ricordare i vari governi filonazisti di Vichy e di numerosi paesi dell’est Europa 80 anni or sono –, collaborazionisti che sono regolarmente presenti in ogni guerra (anche in quella economica dei nostri giorni). E questo, ben inteso, comporterà la frantumazione del benessere e possibilmente della sopravvivenza dignitosa del ricco ma fragile vaso italico. Appunto, gli ignavi ed il vaso di coccio.
Mitt Dolcino
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Referenze e Note:
i https://scenarieconomici.it/draghi-conferma-che-la-germania-non-permetterebbe-mai-allitalia-di-svalutare-il-fine-della-moneta-unica-e-chiaro/
Nel titolo de La Stampa si cita [” Peter Praet: “L’Italia è al punto di svolta Uscire dall’euro? Un incubo” – Il capo economista Bce: siete usciti dalla recessione e il debito è stabilizzato. Ma avete risanato con troppe tasse e dovete riformare il mercato del lavoro per consentire alle aziende di crescere], vedasi link di seguito:
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