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Finanza

I Risparmi ai Tempi del Colera (Prima Parte)

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Guest post di Paolo Cardena’, di Vincitori e Vinti

 

Nel paese fantastico sta andando in onda la sceneggiata dell’ulteriore tassazione delle rendite finanziarie. Il messaggio che viene veicolato al cittadino è quello secondo il quale sarebbe  “immorale” che le rendite finanziarie scontino livelli impositivi inferiori ai redditi prodotti dal lavoro, e che quindi occorrerebbe un ribilanciamento del prelievo fiscale al fine di ridurre il carico tributario sul lavoro, aumentando la tassazione sui risparmi.
Purtroppo  la verità è sempre maledettamente  diversa da come viene raccontata, e per onorarla occorre scavare, scavare e scavare ancora, al fine di capire come stanno realmente le cose.
 

Se andassimo  sul sito del Ministero dell’Economia e delle Finanze (precisamente QUI) consultando gli ultimi dati disponili sul sito, relativi al periodo d’imposta 2011, si scoprirebbe questa tabellina che ci consente di smentire l’affermazione secondo la quale il lavoro sarebbe tassato di più delle rendite finanziarie.

 
 
 
Questa tabellina ci racconta che in Italia, i redditi imponibili prodotti da tutti i lavoratori dipendenti, sia del settore pubblico che del settore privato, nel periodo di imposta 2011, sono  ammontati a circa 453 miliardi di euro. Il gettito Irpef prodotto da questi redditi è stato circa 92 miliardi di euro, cioè poco sopra il 20% medio di Irpef. È chiaro che nell’universo dei lavoratori dipendenti ci siano coloro che scontano aliquote medie dell’Irpef sensibilmente superiori al 20% medio. Ma è vero anche il contrario. Cioè che i titolari di  redditi più bassi (ne sono la maggior parte) scontino aliquote ben lontane dal 23% (aliquota primo scaglione Irpef), e sensibilmente inferiore all’aliquota media del 20%,  per effetto delle detrazioni di imposta riconosciute per legge.
 
Già in un precedente articolo abbiamo dimostrato che il risparmio sconta un livello di tassazione tutt’altro che leggero, fortemente inasprito nel corso degli ultimi anni.
Chi dispone di 50 mila euro investiti in obbligazioni al 3%, sconta un livello di tassazione di circa il 27% (ritenuta fiscale sugli interessi + imposta di bollo), a cui si sommano le spese bancarie e l’inflazione, restituendo un rendimento reale negativo, che erode patrimonio. La cosa si complica notevolmente se si investisse in Bot, che offrono un rendimento assai inferiore che subisce un’incidenza più invasiva dell’imposta di bollo del 2 per mille calcolata sul capitale.  Senza, poi, considerare che si tratta comunque di patrimoni accumulati con flussi di reddito prodotto in età lavorativa, sui quali sono sono state pagate le relative pretese tributarie in età lavorativa.
 
Vi è poi un’altra questione. Ossia il gettito derivante da un possibile inasprimento del livello di tassazione sulle rendite finanziarie. Va detto che il gettito Irpef che lo stato incassa annualmente è di circa il 150 miliardi di euro. Mentre l’Irap sulle imprese vale  35 miliardi di euro.
Il gettito prodotto dalla tassazione delle rendite finanziarie, è di appena 11 miliardi di euro.
 
Si comprenderà agevolmente che stiamo parlando di ordini di grandezza del tutto inconciliabili ai fini di una riduzione delle imposte sul lavoro, che dovrebbe presupporre un feroce abbattimento della tassazione.
 
Ad esempio, per ridurre di appena il 10% la tassazione ai fini Irap (3.5 miliardi), non basterebbe aumentare del 30% la tassazione sul risparmio, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero. Quindi, chi parla di riduzione delle tasse finanziata dall’aumento della tassazione sui risparmi, lo fa per pura demagogia, oppure perché non conosce la materia. 
 
Va anche detto che il gettito prodotto dalla tassazione delle rendite finanziarie, inglobando anche quello relativo alle plusvalenze maturate dalla compravendita dei titoli (capital gain), per definizione, non è un gettito strutturalmente stabile. Perché è sufficiente che i mercati scendano ed ecco che il gettito diminuisce anziché aumentare, determinando buchi nel bilancio statale che dovranno essere colmati.
 
In questi anni di crisi, il risparmio, ha svolto anche la funzione di ammortizzatore sociale, poiché utilizzato per integrare o sostituire un reddito eventualmente diminuito o addirittura scomparso. Se si dovesse aumentare ulteriormente la tassazione sui risparmi, si sottrarrebbero risorse a chi integra i propri redditi (magari da pensione) con piccole rendite provenienti dal risparmio. Quindi, maggior disagio sociale e minori consumi che determinerebbero una contrazione di materia imponibile sia in termini di imposizione diretta che indiretta. 
 
Ma il risparmio è anche il baluardo della solidità del Paese e elemento  indispensabile e imprescindibile per favorire un nuovo momento di slancio per il paese, semmai dovesse arrivare. Distrutto il risparmio, di questo Paese, non resterà che ceneri e macerie.
In Italia, che piaccia o meno, non c’è più nulla da poter tassare oltre quanto sia già tassato
 
 
GPG

 

 

 


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