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Gli F35 e la la Marina Militare Italiana

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Riceviamo a pubblichiamo questo articolo da Gabriele Sarteanesi, cui diamo il benevenuto nella redazione di Scenarieconomici.it.

 

“Ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est”. (Seneca – Lettere a Lucilio)
Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa a quale porto vuol approdare.

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Mentre imperversa il dibattito sull’acquisto dei 91 cacciabombardieri F35 al costo complessivo di 13 miliardi di euro, i quali come ormai noto andrebbero a sostituire 256 aerei da combattimento obsoleti (Tornado, Amx e Harrier), è passata quasi in sordina l’audizione del Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, Amm. Giuseppe de Giorgi, davanti alle Commissioni Difesa riunite di Camera e Senato lo scorso 19 giugno.

Siamo ancora quelli dei Santi, poeti e navigatori? Pare di no. Tralasciando i dettagli sulla cronica mancanza di personale, de Giorgi ha fatto presente che la Marina Militare Italiana è semplicemente destinata a perdere completamente la propria capacità marittima entro il 2025.

Delle 60 navi che attualmente compongono la flotta militare italiana (di cui solo 20 pronte a muovere) ben 51 andranno in pensionamento programmato entro la prossima decade.  ”La nostra e’ ormai una Marina vecchia con navi la cui vita e’ al di sopra dei 20 anni. Questo malgrado i compiti della forza armata restino molti, dalla difesa, alla sicurezza delle rotte, dal controllo dei migranti, alla vigilanza della pesca e dei porti.

La Marina Militare ha speso lo scorso anno 2,4 miliardi, con un fabbisogno per spese correnti indicato dall’Ammiraglio in 850 milioni. Dal 2003 però la componente navale delle nostre Forze Armate ne riceve circa il 50%, cioè 400 milioni e spicci. Facile immaginarne gli effetti: navi che invecchiano anzitempo per mancanza di manutenzione, operatività ridotta, addestramento quindi carente ed aumento degli infortuni.

Cosa ancor più grave è “l’assenza per malattia” della Marina sulle linee di comunicazione strategiche da e per le zone di importazione per l’Italia.

Il 90% dei beni e delle materie prime viaggia via mare, il Mediterraneo ha una superficie che è appena l’1% dei mari del pianeta ma pesa per il 20% sul traffico marino mondiale. Così il 54% delle merci, il 75% di petrolio, e il 42% di gas che arriva in Italia lo fa via mare. L’Italia è il primo paese in Europa per volume di importazioni via mare: 185 milioni di tonnellate.

Mantenendo le risorse al 50% del fabbisogno si avrà dunque come conseguenza per un fattore puramente matematico la perdita della capacità marittima entro i prossimi 10 anni: le attuali risorse non permetteranno la sostituzione delle unità navali che saranno radiate per obsolescenza. La Marina quindi, senza un programma di rifinanziamento, si avvierà verso l’irrilevanza e l’inutilità. De Giorgi ha quindi – udite, udite –  richiesto investimenti per 10 miliardi in dieci anni… F35 permettendo. In difetto, l’alto ufficiale ha stimato in ventimila unità i nuovi disoccupati. Ha però anche sottolineato che l’investimento rientrerebbe tramite 5 miliardi in tasse e 6,8 come risparmi derivanti dal mancato pagamento della cassa integrazione, considerando anche che un programma massiccio di investimenti nella costruzione di nuovi vascelli avrebbe ripercussioni positive sull’indotto dei comparti cantieristico (Fincantieri), della difesa (Finmeccanica) e… sull’Ilva!

Fin qui i fatti. Ma quale ripercussioni geopolitiche potrebbe avere un così drastico ridimensionamento della capacità militare marina Italiana? Attualmente la prima forza navale mediterranea è costituita dalla Marine Nationale francese, al secondo immancabilmente gli USA, quindi l’Italia; seguono la Türk Deniz Kuvvetleri (Turchia), la Polemikò Naftikò (Grecia), e la Armada Española, staccata con un potenziale nettamente minore la Al-Bahriyya al-Misriyya (Egitto).

È ragionevole ritenere che nei prossimi dieci anni anche le marinerie di Grecia e Spagna andranno incontro ad un sensibile ridimensionamento. Per contro, gli accordi tra Cipro e Russia doteranno (con tempistiche anche imminenti) la Voenno-Morskoj flot Rossijskoj Federacii  di quella base mediterranea bramata da 200 anni, il che richiederà in ottica NATO ulteriori apporti germano-anglo-americani onde mantenere equilibri che sono comunque irrimediabilmente destinati ad essere ridisegnati.

Intanto il Mediterraneo resta una zona nel complesso tutt’altro che stabile: se da un lato il completamento dei nuovi TAP (Trans-Adriatic Pipeline), TAL (Transalpine Pipeline), Nabucco e/o South Stream, ridurrà la dipendenza energetica dalla zona Suez; dall’altro renderà ancor più critico il Mediterraneo come area di importanza strategica.

In tutto ciò i paesi arabi presentano una stabilità politica di cristallo che a meno di nuove e clamorose “primavere” sembra orientata su derive decisamente islamiste, mentre il lato mediorientale rimane la storica polveriera, con l’aggiunta della Turchia che, svestiti i panni (da lavare in famiglia a piazza Taksim)  della panacea dei mali europei si è affrettata ad entrare nella Shanghai Cooperation Organisation.

In conclusione sembra che sul filo di quei 10 miliardi per l’acquisto degli F35, balli ben altro che la mera distinzione guerrafondai si, guerrafondai no. L’Aeronautica non piange la stessa miseria della Marina, ragion per cui pare necessaria una riflessione sui capitolati di spesa del Ministero della Difesa (eventualmente anche di concerto con gli alleati). La spesa per i JSF, che attualmente appare un vezzo difficilmente giustificabile (la Lockeed Martin ci perdonerà?), potrebbe invece essere spalmata in dieci anni, con una boccata d’ossigeno per l’economia che seppur (come osservato da qualcuno) non nei numeri enunciati dall’Ammiraglio de Giorgi, sarebbe comunque tutta italiana.

 

 

Gabriele Sarteanesi

 

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