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GIUSEPPI, UN UOMO SOLO AL COMANDO (di Mimmo Caruso)

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Vi è un uomo solo al comando in Italia: non indossa la maglia biancoceleste ma eleganti abiti con tanto di pochette; non è un airone che plana maestoso sul traguardo della Cuneo-Pinerolo ma un miracolato inchiodato alla poltrona di Palazzo Chigi dalla paura di nuove elezioni o da altri inconfessabili motivi; il suo nome non è Fausto Coppi ma Giuseppe Conte, un avvocato che ha assunto la guida del Governo con la stessa nonchalance con la quale si accetta il patrocinio di una qualsiasi controversia legale non essendo né leader di partito né uomo politico in qualche modo legittimato dal voto popolare.

Per ben due volte, il personaggio in questione ha determinato una modificazione tacita della Costituzione ovvero una sostanziale manipolazione dell’architettura costituzionale favorita da situazioni contingenti: la prima volta con la nascita del suo secondo Governo che ha determinato una frattura nel rapporto tra Costituzione formale e Costituzione materiale giustificato dalla ritenuta l’impraticabilità di elezioni politiche anticipate per l’imminenza della sessione di bilancio; la seconda volta con una vera e propria alluvione di decreti presidenziali attuativi dei vari decreti legge emanati per fronteggiare l’emergenza Covid-19 ma capaci di comprimere libertà e diritti fondamentali come la libertà personale, di circolazione, di riunione, di culto riconosciuti e garantiti dalla Costituzione.

E’ opportuno chiedersi se questo “diritto emergenziale” si collochi nell’alveo della legalità costituzionale e se, di fatto, si sia creata una distorsione nel delicato equilibrio tra i poteri dello Stato.

La Costituzione non positivizza lo stato di emergenza anche se fa riferimento a casi di necessità e urgenza (art. 13, comma 3; art. 21, comma 4; art. 77) ma all’art. 78 prevede che le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo non i poteri assoluti ma i poteri necessari significando che nel caso estremo di guerra, nel quale è necessario assumere decisioni immediate, è il Parlamento a individuare e autorizzare le misure che l’esecutivo potrà legittimamente adottare al fine di rimanere nell’ambito della legalità costituzionale.
In linea di principio, il termine “emergenza” fa riferimento a situazioni di fatto improvvise e imprevedibili di pericolo ma non comprende le misure necessarie per fronteggiarla efficacemente.

Nel caso del coronavirus ben difficilmente si può parlare di emergenza improvvisa e imprevedibile poiché il primo focolaio si è verificato in Cina lo scorso dicembre; a gennaio l’opinione pubblica italiana era già al corrente della minaccia incombente; il 30 gennaio l’O.M.S. ha annunciato l’emergenza sanitaria globale; il 31 gennaio il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza ma solo il 23 febbraio ha adottato il primo decreto legge per la gestione dell’emergenza epidemiologica.

Stando così le cose il Governo aveva tutto il tempo necessario per salvaguardare il principio di legalità costituzionale richiedendo all’organo rappresentativo della sovranità popolare, ovvero al Parlamento, il conferimento dei poteri strettamente necessari per contrastare un’emergenza che si sarebbe inevitabilmente verificata e prevedendo, al tempo stesso, forme di controllo sull’adeguatezza, la proporzionalità, la temporaneità, l’efficacia erga omnes delle misure adottate (non dimentichiamoci che le ONG sono libere di circolare e far sbarcare impunemente i cosiddetti naufraghi) che al momento sono addirittura escluse visto il ricorso, da parte dell’esecutivo, alla questione di fiducia nella conversione dei decreti legge e all’utilizzo dello strumento attuativo dei DPCM sottratti allo scrutinio del Parlamento, del Presidente della Repubblica e della Corte Costituzionale stante la loro natura di atti amministrativi.

E a questo punto il cerchio è chiuso e la manovra del premier tirato fuori dal cilindro del prestigiatore è degna di uno stratega come il prussiano Von Clausewitz: a fine gennaio dichiara l’emergenza, a fine febbraio adotta il primo di tanti decreti legge generici e usa i DPCM per imporre vincoli più stringenti limitativi di libertà e diritti fondamentali sottratti ad ogni forma di controllo.

L’uomo solo al comando si è preso i “pieni poteri” che la Costituzione non prevede e non tollera nemmeno nei casi di guerra e agli italiani, dopo il diritto di voto, è stata sottratta anche la libertà.


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