Attualità
ECCO L’ULTIMA PROPOSTA DELLA COMMISSIONE: METTERE SOTTO TUTELA IL PARLAMENTO EUROPEO
Il 19 maggio è stata presentata a Bruxelles la Better Regulation Agenda, un pacchetto di proposte per migliorare la legislazione europea; all’interno vi è una proposta che ha forti implicazioni sul processo di formazione delle norme europee, ma che è stata ignorata dai media nostrani (ma non da quelli esteri, con commenti anche pesanti): in pratica la Commissione europea sta studiando un modo per costringere il Parlamento europeo a sottoporre le bozze di modifica alle proposte della Commissione che intendono inviare al Consiglio (quel meccanismo di cui ho parlato qui) al vaglio di un comitato di burocrati che valuteranno se la modifica è accettabile o meno. In altre parole vogliono mettere sotto tutela il Parlamento.
Ne ha parlato il Primo Vice Presidente della Commissione europea, l’olandese Frans Timmermans, uomo di fiducia del Presidente Junker: secondo Timmermans le leggi in Europa dovrebbero essere migliori, con più trasparenza e controllo, per questo le bozze di modifica dovrebbero essere sottoposte preventivamente ad un rigoroso esame. Posizione astrattamente condivisibile, se non fosse che tale “rigoroso esame” dovrebbe essere compiuto da un comitato “indipendente” di sette tecnocrati non eletti: tre funzionari della Commissione (in una prima stesura si faceva riferimento al Parlamento ed al Consiglio come soggetti coinvolti nella formazione di un panel dal quale scegliere i funzionari, ma tale riferimento è sparito dal testo definitivo), tre consulenti esterni (e le multinazionali già gongolano…) ed il Vice-Segretario Generale della Commissione, responsabile alla migliore legislazione. Tale “Regulatory Scrutiny Board”, una specie di consiglio di controllo legislativo, dovrebbe valutare l’impatto che ogni singola modifica alla proposta della Commissione, effettuata dal Parlamento o dal Consiglio in sede legislativa, può avere per i cittadini e le imprese, considerando il rapporto costi-benefici per i soggetti interessati.
Va da sé che la valutazione sui costi e benefici di una norma europea ha soprattutto significato per le imprese, a cui una più stringente normativa in materia di tutela del lavoro, dell’ambiente o della salute comporta di solito maggiori costi ed oneri. In tal modo, e soprattutto con l’inserimento di consulenti esterni, di solito portatori degli interessi delle grandi aziende, come è accaduto in passato per gli OGM o le normative anti-evasione, si introdurrebbe una specie di organo valutativo molto simile a quello previsto dai famigerati ISDS (Investor-State Dispute Settlement) da me già esaminati, con la capacità di influenzare sul nascere ogni direttiva o regolamento che possa economicamente nuocere alle imprese, pur se motivata da ragioni di interesse generale.
Questa proposta allontana sempre di più l’Unione Europea dai cittadini e dai loro interessi, limitando di fatto quel minimo potere di indirizzo del Parlamento europeo, unico organo eletto dal popolo, e la avvicina sempre più ad essere quella che Colin Crouch, un politologo inglese, ha definito dieci anni fa “post-democrazia“: un sistema in cui la legislazione si sposta su una sfera trans-nazionale che sfugge al controllo pubblico, con la conseguenza che la democrazia si svuota di reale contenuto ed i cittadini si allontanano dal processo decisionale. Questa minore partecipazione innesca però un meccanismo di ribellione e ciò spiega perché, secondo Ulrike Guérot, un esperto di questioni europee e consulente politico, anche chi contesta solo le politiche europee e non l’Unione è spinto a ribellarsi all’EU nel suo complesso ed a votare e sostenere movimenti che si presentano come anti-europei.
Si spera che quando verrà sottoposta al Parlamento la proposta di accordo vincolante vi sia un dibattito pubblico e trasparente, ben diverso da quanto sta avvenendo ad esempio con le trattative per il TTIP. Se ciò non avvenisse le spinte anti-europeiste aumenterebbero, e l’EU potrebbe cominciare ad avere realmente i giorni contati. Con pochi rimpianti.
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