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Draghi costretto ad ammettere di essere non “Super partes”, ma il solito piddino. Elezioni vicine

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Alla fine Draghi si è dovuto dimettere. Il discorso mattutino francamente non è stato  buono, una sorta di auto celebrazione  mescolata ad una spinta talmente autoritaria che diversi senatori si son sentiti in dovere di fargli notare la cosa. La replica pomeridiana è stata ancora più piccata ed acida, rigettando la responsabilità del fallimento del 110% immobiliare , che ora minaccia decine di migliaia di aziende, su chi lo ha scritto, cioè sul governo Conte II, su  Gualtieri, etc.

Vengono presentate due mozioni a favore di Draghi: una di CDX, a firma Calderoli,  che vuole però un cambiamento completo e tutale della sua composizione, dall’altra parte una di CSX a firma Casini, che vuole che tutto vada avanti come ora. Draghi mette la fiducia sulla mozione Casini, rivelandosi apertamente per quello che è: un esponente del Partito Democratico.

Quindi si sono squarciati i veli, ormai debolissimi, del “Governo di unità nazionale” che, in realtà non era altro che un governo PD e della malefica burocrazia inamovibile.

Ed ora? Ci vorrebbero tutti i Cinque Stelle, ex ed attuali, per avere la fiducia. Magari qualche Forza Italia può essere tentato di fare il salto della quaglia (penso a Brunetta), ma non cambia molto. Se avrà la maggioranza avremo un Draghi ridotto ad un Conte qualsiasi, e potrebbe dimettersi. Se perdesse ci sarebbero le dimissioni. Elezioni subito? Non si sa, ma sarebbe il CDX a decidere se tirare avanti ancora qualche mese, se non altro per non fargli gestire le elezioni. Comunque sarebbe un governo di transizione ed elettorale incredibilmente diverso.


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