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Economia

Dazi di Trump: La Germania Critica Ma Ringrazia Sottobanco? L’Ipocrisia Tedesca e l’Occasione da 1000 Miliardi

La germania si lamenta dei tassi di Trump, ma il suo mega piano di investimenti è realizzabile se i tassi d’Interesse verranno a scendere, e il rallentamento sui mercato causato dai dazi del Presidente USA ne pone le premesse

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Mentre gli Stati Uniti sembrano avviarsi verso una recessione, con previsioni autorevoli come quella di JP Morgan che vedono il PIL reale contrarsi dello 0,3% quest’anno a causa dei dazi minacciati dall’amministrazione Trump, l’Europa, e la Germania in particolare, si trova di fronte a un paradosso che anche gli stessi tedeschi iniziano a capire, come indicato da Handelsblatt in un articolo abbastanza onesto.

Guerra Commerciale e Timori Globali

La situazione è tesa. Michael Feroli, economista capo di JP Morgan per gli USA, ha rivisto drasticamente le sue stime, indicando come l’impatto dei dazi potrebbe portare l’economia americana in territorio negativo (-0,3% di crescita annua). Gli fa eco l’economista tedesca Ulrike Malmendier, ricercatrice a Berkeley, ha definito le politiche di Trump “tossiche” per l’economia, capaci di generare un’incertezza tale da bloccare gli investimenti e innescare la recessione. questo è quasi ovvio: si è rotto un equilibrio e quindi ci vuole un momento di caos prima che si crei quello nuovo, ma la stabilità non pera più tollerabile. Non può esistere un paese in deficit commerciale permanente, anzi crescente, al mondo. 

La reazione della Cina non si è fatta attendere: Pechino ha risposto colpo su colpo, imponendo dazi aggiuntivi fino al 34% su importanti importazioni dagli Stati Uniti. E l’Europa? I ministri del Commercio dei 27 si riuniscono a Lussemburgo proprio in questi giorni per definire una strategia comune, che potrebbe includere contromisure mirate su beni statunitensi – dal filo interdentale ai diamanti – per un valore fino a 28 miliardi di dollari. Se lo faranno partirà la guerra vera e propria, con conseguenze anche peggiori. 

La Critica Tedesca e il Surplus Commerciale Ignorato

Da Berlino si levano, come prevedibile, voci critiche e preoccupate. L’incertezza generata da Trump danneggia le imprese esportatrici, un pilastro dell’economia tedesca. Aziende come Deutsche Telekom, che realizza negli USA (tramite T-Mobile) circa due terzi del suo fatturato e utile operativo (dati 2024), vedono minacciati i loro profitti.

Nonostante un dividendo record di 90 centesimi per azione annunciato per l’assemblea del 9 aprile, l’azienda rimane la più indebitata della Germania, con passività finanziarie nette salite a 137,3 miliardi di euro nel 2024, anche a causa di riacquisti di azioni e dividendi generosi.

Tuttavia, questa narrazione omette un dettaglio cruciale: la politica dei dazi di Trump, per quanto caotica e potenzialmente dannosa nel breve termine, rappresenta anche una correzione, forse brutale ma necessaria, agli squilibri commerciali globali.

La Germania, con il suo persistente e massiccio surplus commerciale, è stata per anni nel mirino delle critiche internazionali, inclusa quella americana. I dazi, in quest’ottica, non sono solo un capriccio protezionista, ma anche una risposta – scomposta finché si vuole – a un modello economico, quello tedesco, basato sull’export e sulla compressione della domanda interna, che ha generato tensioni nel sistema economico mondiale. Criticare i dazi senza riconoscere le problematiche strutturali del proprio surplus è, quantomeno, parziale.

L’Opportunità Nascosta: Tassi Bassi per Piani Faraonici

Ma c’è di più. Dietro le quinte delle lamentele ufficiali, si cela un potenziale vantaggio enorme per la Germania, quasi un effetto collaterale “positivo” della follia tariffaria.

La grande banca svizzera UBS prevede che l’impatto dei dazi statunitensi sull’Europa si tradurrà in un calo della crescita tra 0,5 e 1 punto percentuale. Questo rallentamento, unito al calo delle esportazioni verso gli USA, dovrebbe portare a prezzi più bassi nell’Eurozona.

E qui sta il punto: una minore inflazione creerebbe spazio per ulteriori tagli dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale Europea (BCE).

Perché questo è un vantaggio per la Germania? Ricordiamo i piani recentemente approvati dal Bundestag: un pacchetto colossale da 500 miliardi di euro destinato a infrastrutture e protezione del clima, a cui si aggiunge un drastico aumento della spesa per la difesa. Si parla di un impegno complessivo che potrebbe oscillare, secondo diverse stime e intenzioni politiche, tra i 500 e i 1000 miliardi di euro nei prossimi anni. Un vero e proprio programma di stimolo economico finanziato a debito.

In tempi normali, un’iniezione di spesa pubblica di questa portata su un’economia come quella tedesca attuale, la cui crescita potenziale è stimata dall’istituto di ricerca Handelsblatt ad appena lo 0,5% (e destinata a calare allo 0,3-0,4% entro fine decennio, secondo il Consiglio degli Esperti Economici, a causa della bassa produttività e del calo demografico), provocherebbe un surriscaldamento immediato, con fiammate inflazionistiche. L‘economia tedesca, semplicemente, non reggerebbe uno stimolo simile senza andare fuori giri.

Ed ecco il paradosso servito: il “freno alla crescita” imposto dalle turbolenze commerciali globali innescate da Trump, e la conseguente prospettiva di tassi d’interesse più bassi (o bassi più a lungo) grazie alla BCE, aumentano considerevolmente la probabilità che la Germania possa effettivamente implementare i suoi ambiziosi – e necessari – piani di spesa infrastrutturale, climatica e militare senza superare il limite della crescita potenziale e senza scatenare l’inflazione. In pratica, Trump, pur criticato aspramente, potrebbe fornire a Berlino la copertura macroeconomica e le condizioni di finanziamento ideali per realizzare la più grande trasformazione e riarmo del paese dal dopoguerra.

Questo è già visibile nei tassi sui Bund decennali, i titoli di stato tedeschi, il cui rendimento era esploso all’annuncio del piano d’investimento di Merz, portandosi dietro anche i titoli francese, in primis, e italiano poi. Questo rendimento è caduto alla notizia dei dazi, perché i titoli di stato sono comunque il porto sicuro nei momenti d’incertezza.

Smettere di ragionare da tedeschi

Certo, come ammesso, questa non è una consolazione per le tante aziende tedesche orientate all’export che vedono a rischio il loro business americano. Ma la politica economica di una nazione guida come la Germania non può basarsi solo sulle lamentele contingenti del suo settore esportatore, cresciuto sull’impoverimento interno e lo sfruttamento estero.

Serve una visione strategica di lungo periodo che dia priorità alla crescita interna e al benessere di lungo periodo, materiale, culturale e spirituale, della nazione, di qualsiasi nazione. La Germania ha l’occasione storica di utilizzare questa congiuntura imprevista per modernizzare le proprie infrastrutture, cercare l’indipendenza energetica e rafforzare significativamente la propria difesa, contribuendo così anche alla sicurezza europea. Il tutto, potenzialmente, a costi di finanziamento estremamente vantaggiosi.

Invece di limitarsi a criticare Trump e a difendere un modello di surplus che non è più sostenibile né accettato a livello globale, Berlino dovrebbe cogliere l’attimo. È ora che i tedeschi smettano di ragionare solo da “tedeschi”, con la loro proverbiale (e talvolta miope) ossessione per l’inflazione e l’ordine dei conti a breve termine, e inizino a pensare e agire come fanno tutti i popoli, pensando che quello che investono oera è la vera ricchezza che lasciano ai loro figli, sempre che lo investano bene e non come fecero gli olandesi nel seicento con i tulipani, seguento una moda passeggera.

Un investimento problematico tedesco: l’aereoporto di Berlino

Le sfide interne, del resto, non mancano: l’accordo appena siglato nel pubblico impiego (aumenti del 3% poi del 2,8%, più flessibilità e ferie – in sintesi, meno lavoro per più soldi) non aiuterà certo a rilanciare la produttività. E l’allarme lanciato da Martin Greive sui contributi previdenziali in costante aumento (dal 42% attuale verso il 50%) segnala un fattore che sta paralizzando l’economia. Questi problemi rendono ancora più urgente l’attuazione di un piano di investimenti massiccio, che ora, paradossalmente, le tensioni commerciali internazionali potrebbero rendere più fattibile.

 


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