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Conti pubblici

Con spread intorno ai 70 punti, risparmi fino a 17 miliardi di euro per lo Stato

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Il 2025 si conferma un anno eccezionale per il debito pubblico italiano. L’ultima buona notizia è arrivata il 21 novembre, quando Moody’s ha alzato il rating del Paese da Baa3 a Baa2. Questo evento, definito senza precedenti negli ultimi 23 anni, ha confermato la solidità della gestione del debito italiano, insieme alle precedenti promozioni di S&P, Fitch e Dbrs durante l’anno. Il miglioramento dei rating ha avuto effetti positivi sull’intera curva dei Btp, dai 3 ai 50 anni, con alcune scadenze che hanno visto una discesa dei rendimenti più marcata, traducendosi in un aumento dei prezzi dei titoli già emessi. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, la riduzione dei rendimenti potrebbe far risparmiare allo Stato oltre 17 miliardi di euro in interessi nei prossimi cinque anni.

La discesa dello spread tra BTP e Bund fino a 69 punti base e l’ipotesi che questo livello si mantenga stabile nei prossimi due anni, cioè sotto i 70 punti base, potranno garantire all’Italia risparmi ancora più consistenti sul fronte della spesa per interessi. Secondo una nuova stima del Centro studi di Unimpresa, aggiornata alle condizioni dei mercati delle ultime settimane, nel 2026 il minor costo del debito potrebbe attestarsi tra i 6 e i 7 miliardi di euro, per poi salire fino a 9-10 miliardi nel 2027, grazie all’effetto cumulativo del rifinanziamento dei titoli in scadenza. Complessivamente, il “tesoretto” potenziale per il biennio 2026-2027 può quindi superare anche i 15-17 miliardi di euro.

La valutazione si fonda su uno scenario in cui lo spread si mantiene intorno ai 70 punti base e il Tesoro continua a collocare ogni anno circa 500 miliardi di euro di titoli di Stato tra nuove emissioni e rinnovi. Il confronto con i picchi del 2022-2023, quando il differenziale superava stabilmente i 200 punti base e il rendimento del decennale italiano viaggiava in area 4,5-5%, mette in evidenza una compressione superiore ai 130-150 punti base: una dinamica che, tradotta in termini di costo medio del debito, consente di stimare un avvicinamento dal 3,3% verso il 2,9-3%, liberando spazi significativi per la gestione dei conti pubblici. Dal 2022, quando al governo c’era Mario Draghi come premier, il divario tra Italia e Germania si è ridotto di 176 punti base pari a un calo del 72%.

“Ci sono risorse importanti a cui attingere per poter investire sulla crescita economica, finanziare l’abbassamento delle tasse per famiglie e imprese, dare sostegno a chi è in difficoltà», ha commentato il presidente di Unimpresa Paolo Longobardi, sottolineando che «la discesa dello spread a 69 punti base rafforza questa prospettiva e offre al Paese un margine di manovra che fino a poco tempo fa sembrava impensabile».

Longobardi ha comunque mantenuto invitato a non considerare «il rischio-Paese sia definitivamente alle nostre spalle», perché nonostante «la credibilità dimostrata dall’Italia nella gestione dei conti pubblici» e il fatto che «il governo guidato da Giorgia Meloni ha finora mantenuto una linea di disciplina di bilancio che i mercati riconoscono», resta «il peso strutturale di un debito molto elevato e di una crescita potenziale ancora troppo bassa. Per questo il segnale positivo dello spread va letto con prudenza: è un’opportunità da cogliere per ridurre il debito e sostenere lo sviluppo, non una garanzia a tempo indeterminato».

Secondo il Centro studi di Unimpresa, la riduzione dello spread tra Btp e Bund ai minimi da oltre quindici anni non rappresenta solo un indicatore di fiducia per gli investitori, ma un fattore concreto di stabilizzazione del bilancio pubblico.

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