Politica
IL CERTO E L’INCERTO NELLA LEGGE FINANZIARIA
Il fastidio, quando si tratta di leggi finanziarie o di provvedimenti importanti zeppi di numeri, è che non si è sicuri di capire. Del resto, soltanto alcune persone, in Italia, sono realmente capaci di leggere e comprendere il bilancio dello Stato: figurarsi se può farlo uno che nella vita si è occupato d’altro. Dunque della legge finanziaria si occuperanno i giornali e i politici. Noi cittadini normali aspetteremo soltanto i risultati.
“Diciotto miliardi di tasse in meno”, dice Matteo Renzi. E gli italiani non lo prendono sul serio. Infatti, se gli credessero, danzerebbero nelle piazze con più entusiasmo dei francesi il quattordici luglio. Al contrario è allarmante l’entità della manovra annunciata: trentasei miliardi di euro. Anche se ormai è fuor di moda farlo, si rimane sgomenti traducendo quella cifra nella vecchia moneta: si tratterebbe di quasi settantamila miliardi di lire.
Quando si tratta dello Stato, il buon senso vuole che si diano per sicure le spese e per aleatorie le entrate. Le prime fanno felici la gente e sono praticamente certe, mentre è raro che si incassino le somme che si è promesso di incassare. Per questo conviene occuparsi di queste ultime. Sono loro che rappresentano il vero problema. Il risultato totale infatti potrebbe essere una spesa in deficit e un ulteriore aumento delle tasse e del debito pubblico.
Il governo ha annunciato che i fondi saranno reperiti per quindici miliardi con risparmi di spesa, per 3,8 miliardi con la lotta agli evasori fiscali, e infine per 3,6 miliardi con una (ulteriore) tassazione delle rendite finanziarie. Più altre somme minori. La tassazione delle rendite, per partire dall’ultima voce che tanto piace alla sinistra, va contro l’articolo 47 della Costituzione più bella del mondo, ma ciò non importa. Piace a sinistra e tanto basta. Più grave è che renda l’Italia sempre più un posto in cui è da dissennati tenere i propri capitali. Gli italiani non possono sfuggire e pagheranno di più, ma chi può sfuggire all’avidità del nostro fisco veleggerà per altri lidi. Il nostro è il Paese d’elezione dei poveri in canna.
Quanto alla lotta all’evasione, vien da sorridere. Innanzi tutto come mai, sapendo che se ne possono trarre esattamente 3,8 mld (non 3,7 o 3,9) questi miliardi non sono stati riscossi prima? Se i cespiti erano tanto ben noti, tanto ben precisati da poterne determinare il gettito e da essere certi che i tributi saranno incassati nel giro di un anno, perché si è aspettato fino ad oggi? Forse lo Stato era connivente con gli evasori? La verità è che quei 3,8 mld (non 3,7, non 3,9) sono una mera speranza e null’altro.
Né molto diverso è il discorso sui quindici miliardi (ma avevamo sentito diciassette) di tagli alle spese, snobisticamente denominati “spending review”. Anche qui: se era facile farli, perché non sono stati fatti prima? Non si può dimenticare che chi doveva organizzarli, Carlo Cottarelli, se n’è andato. E se prima sono stati impossibili, perché dovremmo credere che saranno possibili ora?
In concreto, o lo Stato aggredirà spese che i cittadini considerano vitali e irrinunciabili, provocando un malcontento incontenibile (L’Imu non si è potuta abolire perché richiedeva 4,5 mld!) oppure, come si dice, lo Stato opererà questi risparmi passando la patata bollente agli Enti locali. Cioè ai Comuni e alle Regioni. Questi dovranno rivalersi sui cittadini e in fin dei conti si avrà un aumento delle tasse, anche se con la grande soddisfazione di sapere che il ricavato andrà agli Enti Locali e non allo Stato. Sai che sollievo. E Renzi osa proclamare uno sgravio d’imposte di diciotto miliardi?
A queste sedicenti “entrate” si aggiungono poi 11,5 mld di spesa in deficit. Cioè aggiungendoli al nostro debito pubblico. Certo, esso viaggia già oltre i duemilacento miliardi e non se ne accorgerà neppure: ma se ne accorgeranno l’Europa e i mercati, che crederanno sempre meno alla rimborsabilità del nostro debito pubblico. L’impegno del fiscal compact è degno dei Fratelli Grimm.
Il Presidente Renzi ha così giustificato il suo progetto: “Noi pensiamo che per l’Italia valgano la duplice categoria delle circostanze straordinarie: riforme strutturali e situazione economica”. La situazione economica la vediamo, per le riforme strutturali la nostra vista è insufficiente. È proprio brutto che, qualunque cosa dica, questo politico riesca a suscitare una reazione di scetticismo.
Naturalmente ci auguriamo che le nuove norme rendano più facile la ripresa economica. Ma mentre questa è soltanto una speranza, siamo al contrario sicuri che vedremo nuove tasse e nuove imposte. Forse fino alla paralisi della nazione.
Gianni Pardo, [email protected]
16 ottobre 2014
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