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UNA SOLUZIONE CONCRETA PER LE SOFFERENZE BANCARIE di A.M. Rinaldi e F. Dragoni.

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UNA SOLUZIONE CONCRETA PER LE SOFFERENZE BANCARIE di A. M. Rinaldi e F. Dragoni 

 A fine 2017 le sofferenze lorde delle banche italiane ammontavano a circa 167 Mld. di euro per scendere ad un valore netto di 103 dopo svalutazioni per quasi 64. Uno stock a fronte del quale gli istituti devono accantonare un patrimonio supplementare stimabile in 5-8 Mld., sempreché non siano necessarie ulteriori svalutazioni per adeguare all’importo di presumibile realizzo il valore di questi crediti e delle nuove sofferenze fisiologicamente in entrata a causa della crisi. Cifra risibile se confrontata agli oltre 400 Mld. con cui Berlino ha messo in sicurezza le sue banche dopo il 2008 o ai quasi 6 Mld. spesi da Palazzo Chigi per ricapitalizzare il solo MPS.

Scenarieconomici.it propone da tempo diagnosi e terapie e non convenzionali per la soluzione del problema. In anni di crisi così severa e duratura bisogna abbandonare la logica dei requisiti patrimoniali imposta dalle attuali direttive. I RWA (Risk Weighted Assets) quale base di calcolo del Cet1 e degli altri coefficienti patrimoniali, altro non sono che un valore convenzionale che avvantaggia alcune banche (quelle del Nord Europa che fanno poco credito e molta finanza) a scapito di altre (guarda caso le nostre che invece fanno l’esatto opposto). Sarebbe assai più logico obbligare le banche schiacciate dai Non Performing Loans (NPL) a non distribuire utili sino a che patrimonio e sofferenze non si avvicinano a valori più congrui.

E’ controproducente imporre stringenti livelli di capitale perché ciò che serve è una maggiore elasticità nella gestione dello stato patrimoniale. Obbligare gli istituti a sfiancanti ricapitalizzazioni deprime i corsi azionari di una Borsa dove il peso del settore bancario è già massiccio. Serve ripartire dalla garanzie esplicita della Banca Centrale, come avviene in ogni paese normale fuori dall’eurozona.  Invece che iniettare capitale nelle banche,  il Governo dovrebbe immetterlo nell’economia reale investendo in infrastrutture.

Fare banca è infatti relativamente facile se le cose vanno bene, è certamente impossibile se invece vanno male in quanto le banche si curano da sole se l’economia viene a sua volta curata. Pensare di salvarle con i soldi degli italiani, anche tosando i loro risparmi con il punitivo bail-in, non aiuterà né il governo, né le banche, né soprattutto, i cittadini e le imprese (F.Lugano, 2016).

La Vigilanza dal canto suo costringe apertamente le banche a cedere consistenti pacchetti di NPL mettendole in una situazione di sfacciata debolezza contrattuale di fronte ai potenziali acquirenti quasi sempre stranieri. Gli istituti sono quindi spinti prima a programmare con largo anticipo le dismissioni, classificando i portafogli destinati alla vendita nella categoria “hold to collect and sell”, per poi valutarli al prezzo di presumibile realizzo correggendone il valore contabile. Infine per indorare la pillola, la nuova direttiva IFRS9 stabilisce che gli impatti di queste cessioni non transitino dal conto economico, ma solo dallo stato patrimoniale.

I prezzi medi di cessione dei portafogli spesso non arrivano al 20% del valore nominale, in soldoni il prezzo di cessione di tutto l’attuale stock di sofferenze delle banche italiane si aggirerebbe pertanto intorno ai 32 Mld. con la conseguente presenza di altrettante svalutazioni latenti nei bilanci delle banche. Il debitore ceduto (imprenditore o famiglia che sia) si trova di fronte un nuovo creditore il cui unico obiettivo è quello di massimizzare il rendimento dell’investimentominimizzandone i tempi. Ne consegue un’accelerazione dei processi esecutivi con un ulteriore deprezzamento dell’intero mercato immobiliare letteralmente infestato di offerte di vendita dei beni ipotecati. Un processo forzoso e forzato che non assicura vantaggi né alle banche (costrette ad estenuanti corse contro il tempo per cedere i portafogli a prezzo di saldo)  né soprattutto all’economia reale che vede disintegrarsi le quotazioni del patrimonio immobiliare di tutti gli italiani. Ogni tentativo di velocizzare le procedure esecutive finiscequindi per essere paradossalmente prociclico così ulteriormente deprimendo i prezzi degli immobli.

Urge un radicale cambio di rotta che salvaguardi famiglie ed imprese senza con ciò privare le banche della possibilità di gestire e cederei propri attivi. Avanziamo quindi dalle colonne di Milano Finanza una proposta innovativa che dia ai debitori ceduti la facoltà di riscattare il proprio debito entro 90 giorni dall’avvenuta cessione pagando all’acquirente un prezzo pari a quello di cessionemaggiorato di uno spread (ad esempio il 10%). Una scelta pragmatica che consentirebbe al debitore di tornare a respirare corrispondendo un prezzo ragionevolee all’acquirente di ottenere un soddisfacente ritorno dell’investimento (40% su base annua) decongestionando inoltre le aule dei tribunali grazie alla diminuzione delle procedure esecutive e delle relative opposizioni risparmiando al mercato immobiliare unotsunami di aste giudiziarie. Una sorta di “obbligo di preventiva conciliazione” cui l’acquirente dovrà attenersi prima di attivare o proseguire nel recupero forzoso del credito.

A ciascun debitore ceduto sarà notificato il valore originario del credito (ad esempio 100.000 euro), quello di avvenuta cessione (ad esempio 20.000)  e quello di riscatto cui il destinatario potrà aderire (nel nostro esempio 22.000 a seguito della  maggiorazione del 10% al prezzo di cessione). Le banche non sarebbero private della possibilità di cedere il credito, gli acquirenti farebbero un ottimo affare ma soprattutto si darebbe ossigeno ai debitori sofferenti consentendogli di tornare a lavorare e riconquistare l’agognata quanto indispensabile “verginità bancaria”. Per scongiurare comportamenti opportunistici dei debitori, deve necessariamente essere prevista una data limite oltre la quale questa normativa non sia più applicabile.

La proposta è chiaramente perfettibile e quindi aperta al contributo di operatori, accademici e regulators. Auspichiamo una costruttiva partecipazione alla definizione del relativo disegno di legge che di fatto consisterebbe in una parziale modifica dell’art.58 del Testo Unico Bancario. Chiediamo infine ai leader più importanti del Paese (nessuno escluso), cosa pensano e se intendano farsi carico di questa che è una proposta volta a riequilibrare con giustizia i rapporti di forza fra creditori e debitori di cui la nostra economia ha maledettamente bisogno.

A.M.Rinaldi e F.Dragoni, Milano Finanza 28 aprile 2018


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