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Politica

Un ritorno alle origini per la Lega nel 2025?

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Il neosegretario della Lega in Lombardia, il capogruppo al senato Massimiliano Romeo, brianzolo doc, è stato chiarissimo nel suo discorso di insediamento due settimane fa: “Sai che sono sempre stato leale con te, ma se non parliamo più del nord, al nord i voti non li prendiamo”. ha detto rivolgendosi al segretario nazionale, Matteo Salvini, seduto in prima fila e scatenando una vera e propria standing ovation
della platea, evidentemente concorde con questa tesi espressa da Romeo.

“Nell’immaginario collettivo la destra sarà sempre rappresentata dalla Meloni. È inspiegabile questo continuo cercare un posizionamento politico nuovo e dimenticarci di coltivare il nostro spazio politico. La Lega rappresenta il movimento del territorio agli occhi dei cittadini, noi i voti li prendevamo dappertutto. Questa deve essere l’idea: riprendiamoci la nostra identità, la vera identità, poi possiamo parlare di temi di destra, sinistra o centro”. Ha aggiunto Romeo, che qualcuno vorrebbe a tutti i costi mettere in contrapposizione con Salvini, evidentemente non conoscendo bene le dinamiche interne del partito, né tantomeno il carattere del neosegretario della Lega Lombardia. È indubbio che la Lega sia in una fase di tormenti interni e di discussione intorno a quello che deve e può essere il suo futuro, ed appare altresì scontato che la fiducia nel segretario non sia più granitica, come qualche anno fa.

Ma pensare che qualcuno men che meno (almeno per ora) Romeo, possa iniziare una competizione interna per strappare a Marzo la leadership a Salvini, pare esercizio buono per i retroscenisti. Anche se Romeo ha certamente il carisma e l’ambizione per potere aspirare un domani alla segreteria, adesso appare prematuro e certamente non nelle sue possibilità. In realtà nella Lega nessuno per ora ha la forza e forse nemmeno la voglia di sostituire il segretario. A meno che non sia lo stesso segretario a stupire ancora una volta tutti ed essere lui a fare un passo indietro (cosa per il momento assai improbabile). Per ora la Lega resta ancorata al suo capitano, ma è altresì vero che si cominciano a sentire le prime voci di dissenso. Ma si sa, in politica la riconoscenza come nella vita è merce assai rara, e se fino a qualche mese fa nessuno o quasi osava contraddire la parola del segretario, ora sono in molti a volerlo sul banco degli imputati per il consistente calo di consensi registrato dalla Lega.

 

E tanto per restare in tema giudiziario, è certamente vero che l’assoluzione da parte dei giudici nel processo Open Arms, se da un lato ha rafforzato il segretario all’esterno del partito, paradossalmente può invece averlo reso più vulnerabile al suo interno. Il fatto di diventare una sorta di martire per una causa giusta, infatti, lo avrebbe reso una sorta di eroe di fronte ai suoi militanti. D’altra parte, le velleità di andare ad occupare l’amatissima poltrona del Viminale, potrebbe essere una sorta di via d’uscita, in vista di un’eventuale, anche se non prossimo, avvicendamento alla segreteria del partito. D’altra parte, 12 anni di segretariato sono tanti anche per chi come Salvini, appariva un tutt’uno con la nuova Lega, che aveva inaugurato, sette anni fa, la nuova stagione di partito nazionale. Il sogno di trasformare il vecchio partito bossiano, così intrinsecamente legato alla classe produttiva del nord e alle sue istanze, in un partito più tradizionale e a vocazione nazionale, si può dire concluso. Certo rimarrà negli annali, lo storico
successo delle europee del 2019, quando la lega raggiunse un incredibile 34,3 %, il cui merito va in gran parte ascritto proprio a Salvini, e che qualcuno adesso vuole derubricare troppo frettolosamente ad un puro e semplice exploit.

E probabilmente la crisi politica scatenata da Salvini, nell’estate dello stesso anno, è proprio figlia di quel comprensibile pizzico di delirio di onnipotenza che deve aver pervaso la mente del segretario leghista. Ma il passato è passato, adesso la situazione è assai diversa da cinque anni fa. La Lega deve ritrovarsi e cambiare pelle ancora una volta. Ora occorre, infatti, come dice ancora Romeo, tornare alle origini e cercare di attingere nuova linfa vitale da dove tutto aveva avuto origine. Salvini che fiuta il vento del consenso come pochi ha però peccato forse di un pizzico di presunzione, pensando che lo zoccolo duro del nord restasse fedele sine die. Una volta che il nord ha invece cominciato a guardare con interesse al partito della Meloni, allora Salvini ha provato a fare una retromarcia, cercando nuovamente una camaleontica trasformazione in un partito sovranista e di destra.

La Lega però non è mai stato un partito di destra, e questo Salvini lo sa bene (la sua esperienza politica nasce, giovanissimo, proprio nell’ambiente dei comunisti padani). La Lega è nata agli albori come un movimento di protesta, nato e cresciuto nelle province laboriose della Lombardia, e che ha presto attecchito anche in Piemonte e in Liguria, nel classico vecchio triangolo industriale. Ma è forse in Veneto che la Lega ha costruito alla metà degli anni 90 lo zoccolo duro del suo elettorato (e forse non è un caso che proprio da lì siano nati i primi problemi per Salvini e la sua leadership). Perché è in Veneto che da sempre sono più forti le spinte autonomiste. Il leghista doc vedeva l’ideologia e la partitocrazia come il vero male della politica italiana.

E la forza della vecchia Lega bossiana era quella di non essere né di destra né di sinistra (e tantomeno di centro), ma la sua forza era stata quella di parlare alla gente del nord, come forse nessuno fino ad ora aveva mai saputo fare, senza filtri e senza arzigogoli . Forte era la sua identità regionalista e territoriale, era nato con forti spinte autonomiste, e la prima vera grande vittoria fu proprio la conquista clamorosa di Palazzo Marino, con Marco Formentini, eletto sindaco di Milano nel 1992. Il paragone tra Lega e movimento cinque stelle ha diverse analogie, almeno nella genesi dei due movimenti. Perché occorre non dimenticare che anche il movimento cinque stelle ha avuto nella sua origine una precisa caratterizzazione territoriale, che era quella del sud proprio in contrapposizione forse con la Lega che occupava stabilmente la protesta del nord.

Per paradosso l’esperienza del governo ha simulato la grandissima operazione fatta da Berlusconi nel 94 quando riuscì a dar stare insieme Lega ed Alleanza nazionale, affidando ad una il nord e ad Alleanza Nazionale il sud. Finita in malo modo l’esperienza di governo per Salvini subito per Conte e i cinque stelle poco dopo, sono cominciati i problemi. Salvini era stato fenomenale ad intercettare gli umori delle
periferie e allo stesso tempo era riuscito ad essere credibile con il mondo produttivo. Ma poi forse per la voglia di strafare ha pensato come un moderno Icaro do poter volare troppo in alto.

Ma ora il passato è alle spalle e la Lega si trova forse di fronte all’ennesimo bivio della sua lunghissima storia, continuare ad essere l’alter ego meloniano a destra, con il serio rischio di poter essere fagocitato da Meloni e Fdi, o cercare di ricostruire un nuovo rapporto con il suo elettorato, che è quello da sempre
formato dalla piccola classe produttiva del nord ( con le grandi imprese Bossi ha sempre avuto un rapporto assai conflittuale, a cominciare dalla Fiat di Agnelli), per costruire sul territorio una base programmatica, magari meno ambiziosa di quella che ha contraddistinto la Lega degli ultimi anni, ma più pragmatica, coerente e forse alla fine anche più appagante in termini di consenso.


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