Crisi
Un emergente in crisi: il Brasile (di Valerio Franceschini)
Dopo anni di speranze e crescita sostenuta, soprattutto durante il secondo mandato dell’era Lula (2007-2010), l’economia brasiliana appare in difficoltà, sopraffatto da un sensibile rallentamento economico e da una serie di scandali (vedasi il caso Petrobas) che hanno travolto sia il potere economico sia quello politico del Paese.
Gli ultimi dati macroeconomici non sono dei migliori e lasciano trapelare nulla di buono.
Il deficit è esploso all’11%, il peggior dato dall’agosto 1999, probabilmente anche per le spese sostenute per i mondiali di calcio e per i prossimi giochi olimpici, investimenti osteggiati da una parte della popolazione che li ha duramente contestati. Anche il debito pubblico, notoriamente molto meno ingente nei Paesi emergenti rispetto a quelli sviluppati, è cresciuto al 63,4% del Pil, rispetto al 56,7% dell’anno precedente ed il più alto livello dal 2006.
Questi dati sono allarmanti, soprattutto per la velocità di deterioramento e l’incapacità di contrastarla. Questo contesto così indebolito ha inoltre indebolito la moneta nazionale, il real, la quale ha raggiunto i minimi da nove anni rispetto al biglietto verde (-14% contro dollaro da settembre 2014), contribuendo all’innalzamento del tasso di inflazione oltre ai livelli previsti dal Governo.
L’esecutivo sta cercando di arginare il tutto con manovre fiscali, alcune delle quali già approvate, che consistono in incrementi di imposte e di tariffe (vedasi aumento tariffe dei mezzi pubblici e di alcune utilities).
Queste misure rischiano, tuttavia, di indebolire ulteriormente la già inesistente crescita economica.
Il surplus primario, la differenza tra entrate ed uscite al netto della spesa per interessi sul debito, si è ormai azzerato a fine 2014 (0,63% del PIL), in sensibile calo rispetto al +1,9% del 2013 ed al +2,4% nel 2012. Si tratta del peggior risultato da 16 anni (1998) e sotto l’obiettivo del Governo del +1,9%.
Solo a metà 2011, il surplus superava, invece, il +3,5% rispetto al Pil.
In base ai riscontri economici evidenziati, il Brasile potrebbe anche entrare in recessione nel corso dell’anno in corso. Le previsioni di crescita sono state drasticamente dimezzate, più volte, già dal secondo semestre 2014, dal +2,1% al +1% e fino ad azzerarle.
A causa delle crescenti tensioni economiche e geopolitiche internazionali si è aggiunto il repentino calo del greggio, che ha continuato ad indebolire la valuta locale.
Ulteriore problema del Paese, affrontato solo in parte con slogan politici nel 2012, è la severa crisi del settore energetico che provoca numerosi black-out e danneggia l’attività economica, ormai quotidianamente. L’ultimo problema, anche in questo caso completamente sottaciuto, è la siccità nella regione di San Paolo, la più ricca del Paese, ed una delle più severe negli ultimi 80 anni, con conseguenze non trascurabili sull’economia.
Il Ministro delle Finanze dichiarò, nel febbraio scorso, che la nazione sarebbe andata incontro ad un primo trimestre negativo per la crescita, e che sarebbe potuto proseguire fino alla fine dell’anno.
La questione non è infatti se il Governo sia disponibile ad intervenire e riformare, ma il costo sulla crescita economica nel 2015 delle nuove politiche adottate.
Nel mese di gennaio 2015 la Banca Centrale Brasiliana ha infatti alzato i tassi di interesse dall’11,75% al 12,25% nel tentativo di tenere sotto controllo il tasso di inflazione, salito a fine anno al 6,7%, sopra l’obiettivo prefissato del 6,5% ed il livello più elevato nell’ultimo triennio.
Situazione in ulteriore peggioramento anche a gennaio, con il tasso mensile che sale all’1,24%, rispetto allo 0,78% del mese precedente. Su base annua, il tasso di inflazione vola al 7,14%, valore che non si vedeva da 12 anni. I tassi di interesse sono invece saliti dal 7% del 2012 al 12% attuale.
Nel Paese sta inoltre esplodendo anche la bolla creditizia, che ha alimentato la crescita eccessiva nella prima decade del millennio. Ora l’offerta di credito sta calando, a causa anche dei tassi in salita, ed i privati troppo indebitati non riescono a far fronte ai loro debiti. Questo fenomeno, impatta sempre più sui consumi e quindi deprime l’attività economica, sia industriale che nei servizi.
Il Brasile dovrà inoltre fare i conti anche con il crollo dei prezzi di molte materie prime, in particolare agricole, delle quali è un importante produttore mondiale, e con il rallentamento della crescita economica cinese, Paese verso il quale ha aumentato le esportazioni nell’ultimo anno (2014).
Un anno in salita, quindi. Il Paese rimane, inoltre, esposto alle conseguenze di una nuova crisi economica e finanziaria mondiale. Le infrastrutture produttive (energia e trasporti) rimangono al palo.
Bassa crescita causata dalla continua discesa della domanda interna e dal calo export, elevata inflazione e tassi di interesse sono una minaccia, che il Brasile ha già sperimentato in diversi decenni ed a fasi alterne nel secolo precedente.
Mentre la fiducia degli imprenditori americani è tornata ai livelli pre-crisi, quella carioca è crollata ai minimi dal 2008 con una discesa che conferma il malessere del Paese, già da alcuni anni.
Valerio Franceschini
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