Attualità
Un paio di consigli a Salvini (di Paolo Becchi)
L’ultima mossa tentata da Salvini – che sta cercando un modo per arrestare il costante calo di consensi – è stata quella di lanciare l’idea di una “federazione” dei partiti del centrodestra. Ma Berlusconi e Meloni hanno subito rispedito la cosa al mittente. Se non altro perché resta difficile capire il progetto politico a cui la “federazione” dovrebbe poter rispondere meglio e con più efficacia di quel che non farebbe una semplice alleanza tra i diversi partiti d’opposizione. Troppo poco, per un progetto di federazione, l’obiettivo di concordare “misure concrete” da sottoporre al Governo per affrontare le conseguenze economiche della pandemia. E poi il fatto di avere, nelle stesse ore, “rubato” tre parlamentari proprio a Forza Italia non aiuta. Così i cuori più che unirsi si spezzano.
Ma Salvini ha detto anche altro: ha detto che la sua proposta mette al centro una “visione del futuro”. E sta bene. Ma quale visione? Quale idea politica che possa fare da collante tra i partiti del vecchio Centrodestra? Perché la domanda è tutta qui. E Berlusconi lo sa meglio degli altri, visto che si deve a lui l’ultima esperienza di una vera coalizione non semplicemente “elettorale”. Possiamo dirne ciò che vogliamo, ma non si può non riconoscere che proprio Berlusconi fu in grado di “federare” proponendo con l’aiuto di un gruppo di intellettuali di spessore, un progetto politico preciso, mediante il quale riuscì a inserire all’interno dell’“arco costituzionale” gli ex-fascisti di Fini e all’interno di una coalizione nazionale i “secessionisti” della Lega di Bossi. La linea era chiara: neo-liberalismo economico, un po’ di federalismo, una riforma istituzionale in senso presidenziale. Nulla gli riuscì e solo le sue doti carismatiche gli hanno permesso di rimanere protagonista per un ventennio della scena politica italiana. E sfruttando la debolezza di Salvini ora si sta riprendendo la scena suscitando l’impressione di essere lui di nuovo il vero leader del centrodestra. Ma è un tentativo effimero.
Le cose sono oggi cambiate, le ricette non possono più essere le stesse. Salvini lo ha intuito, ma brancola nel buio, naviga a vista. È un uomo solo e non è al comando. Le sue “proposte” in campo economico non sembrano andare al di là di un elogio della “libera impresa”, della difesa degli interessi nazionali, della retorica “io sto dalla parte degli imprenditori (ma anche dei lavoratori)”. Dal punto di vista politico, poi, la “visione” manca del tutto e manca perché, prima ancora che le soluzioni, Salvini non vede i problemi. Non sta vedendo la vera posta in gioco politica che dovremo affrontare, dopo la fine della pandemia. Che è quella del capitalismo digitale.
La pandemia ha accelerato i processi economici e politici propri della rivoluzione digitale: dalla didattica a distanza allo spostamento del consumo “on line”, dallo smart working a una “socialità” “in remoto” (facebook, instagram, etc.), dai governi democratici ai governi postdemocratici delle emergenze, fino ad una nuova sorveglianza sempre più capillare sui nostri corpi e sui nostri dati. I sostenitori di questi processi ci sono già, e non avranno molto da lottare: basterà continuare ad assecondare ciò che è già in atto, e lasciare progressivamente che il nostro futuro – politico, economico, culturale, antropologico e sociale – sia sempre più deciso da grandi oligopoli statunitensi come Google, Amazon o Microsoft o cinesi come Huawei. E la verità è che non ci sarà nessuna seria opposizione politica finché non si capirà che questo è il campo fondamentale del conflitto futuro, che le innovazioni digitali al momento sono in mano a multinazionali americane e cinesi e che se le lasciamo a loro saremo colonizzati.
Oggi il tema non è più la sovranità monetaria italiana (euro sí, euro no) ma la “sovranità tecnologica europea” di cui si sta già parlando nel Vecchio Continente per cercare di offrire un’alternativa al modello americano e a quello cinese – perché è sul controllo dei dati, sulla proprietà dei software, sulle infrastrutture, sui modelli di consumo, sul ruolo della cultura, sui rischi connessi alle nuove tecnologie, che si sta giocando la partita decisiva. L’Italia, in tutto questo, tace. Salvini avrebbe l’occasione per rilanciarsi in Italia e in Europa come un vero leader all’altezza dei tempi, come lo fu Berlusconi negli anni Novanta. Ma il suo dramma è tutto qui: ha capito che ha disperatamente bisogno di una nuova “visione”, ma non è in grado di soddisfare questo bisogno. Il rischio è di ritrovarsi in un nuovo mondo con un vecchio centrodestra.
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