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Economia

Turchia: Erdogan ha cambiato il suo walzer politico per salvare l’economia

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Nel corso delle ultime settimane si è assistito a un cambio deciso di posizione politica da parte di Erdogan e della Turchia. Dopo la vittoria nelle elezioni politiche, veramente risicata, si è assistito a un certo irrigidimento della posizione nei confronti della Russia, con il reinvio a casa dei combattenti del battaglione ucraino Azov, e quindi un si, anche se moderato e postposto nel tempo, all’entrata della Svezia nella NATO.

Queste notizie hanno messo Erdogan al centro della scena internazionale, ma, in un certo senso, hanno anche mostrato un cambiamento deciso della politica turca. Dietro a questa virata non avremo delle difficoltà nella gestione dell’economia turca tali da far temere dei rivolgimenti interni profondi? Perché ci sono dei segnali preoccupanti in questa direzione.

L’analisi secondo cui la Turchia è attanagliata dalla sua peggiore crisi economica dalla tremenda calamità del 2000/2001 che ha portato al salvataggio del FMI non è in dubbio. La posizione di crescita di Erdogan a tutti i costi che ha mantenuto l’economia di boom e crisi del paese in funzione per gran parte dei due decenni successivi, come ha affermato Timothy Ash di BlueBay Asset Management il 17 luglio dopo una visita di una settimana in Turchia , ha creato “un pasticcio economico di distorsioni, cattiva allocazione delle risorse e distorsioni dei prezzi e del mercato”.

Tuttavia, ricapitolando come “le opinioni non ortodosse, e semplicemente sbagliate, di Erdogan sui tassi di interesse… siano state determinanti nel creare le condizioni di crisi”, Ash ha affermato che “per qualsiasi ragione Erdogan sembra capire finalmente (di nuovo) che le sue politiche non sono più sostenibile [ed] è chiaro … che senza cambiamenti la Turchia si sta dirigendo verso una crisi sistemica: BOP [bilancia dei pagamenti] verso le banche, quindi probabilmente verso il debito sovrano”.

Dopo la controversa rielezione di fine maggio, Erdogan ha messo da parte un po’ di orgoglio nominando un nuovo team economico favorevole al mercato guidato dal ministro delle finanze Mehmet Simsek e dal governatore della banca centrale Hafize Gaye Erkan, due ex banchieri di Wall Street.

Simsek ed Erkan si sono immediatamente mossi per raddrizzare le contorte politiche fiscali e monetarie dell’amministrazione Erdogan, ma la loro attività sembra un po’ come il noto gioco del jenga, in cui bisogna rimuovere dei mattoni evitando di far cadere la costruzione completa. In questo caso si tocca la politica economica e monetaria con molta attenzione, un poco alla volta, per evitare che tutto possa crollare.

Fra le prime misure necessarie c’è sicuramente la risistemazione delle partite correnti, sempre più negative nel tempo e non più in surplus , neppure minimo, da due anni:

Questo squilibrio è una delle basi della svalutazione progressiva e apparentemente inarrestabile della crisi della Lira turca, a sua volta una delle radici della svalutazione. Lo squlibrio delle partite correnti in buona parte ha dipeso dagli squilibri della bilancia commerciale, ma a sua volta questa è stata sacrificata per mantenere una crescita a livello accettabile. ora, passate le elezioni, si è iniziato a rallentare il disavanzo della bilancia commerciale, ma questo non ha ancora avuto effetto sulla bilancia delle partite correnti. Insomma, un bel problema di non facile soluzione.

Un servizio della BBC del 17 luglio ha valutato che il cambiamento geopolitico del leader turco era legato alla sua necessità di rassicurare gli investitori occidentali. Ha citato Murat Gulkan, capo di OMG Capital Advisors, una piccola società di investimento con sede a Istanbul, che ha affermato sui problemi economici della Turchia: “Non c’è davvero alcuna cura rapida e magica in vista. Devi dare la priorità ai problemi ed eseguire il triage. Ciò comporta il raffreddamento giù l’economia, che naturalmente è politicamente indesiderabile.” Ci vuole tempo per una terapia non facile.

Anche Al Monitor parla di un cambiamento politico di fronte a “un’acuta crisi finanziaria e una stretta valuta estera” e con il “governo di Erdogan che si affannava per attirare fondi internazionali nel paese”.

“Come parte del suo primo tour regionale dalla sua rielezione a maggio, Erdogan si recherà nei paesi del Golfo lunedì [17 luglio] principalmente per assicurarsi i fondi di cui ha tanto bisogno. L’offerta rivitalizzata dell’UE potrebbe essere stata guidata da una motivazione simile”, ha affermato la pubblicazione, prima di citare Serhat Guvenc, professore di relazioni internazionali all’Università Kadir Has di Istanbul, che ha detto: “La priorità del governo in questo momento è quella di recuperare l’economia. Uno dei modi per farlo è portare avanti la modernizzazione dell’unione doganale”.

Nonostante le colossali difficoltà che affliggono l’economia turca, Ash, va detto, vede una via d’uscita praticabile dal caos.

“Si potrebbe obiettare”, ha detto, “che nonostante il terribile contesto macroeconomico, la nomina di un nuovo credibile team di politica economica, i primi passi verso la normalizzazione delle politiche e quindi la prospettiva di un grande salvataggio del Golfo [con impegni che forse si sommano a $ 75 miliardi – $ 100 miliardi in totale] oltre a migliori relazioni con l’Occidente e la prospettiva di una nuova unione doganale [con l’UE].” Però si tratta di due politiche non sempre perfettamente compatibili e che richiedono dei cambi nella politica turca profondi. Se le potenze del Golfo sono in buoni rapporti con la Russia, la UE, in questo momento, è molto meno favorevole ai “Giri di walzer” di Erdogan. Quindi ecco la necessità di raffreddare i buoni rapporti con Mosca e invece migliorarli con la NATO.


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