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TRUMP DISEGNA LA LEADERSHIP DEGLI STATI UNITI di Francesca Romana Fantetti

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Il nuovo ordine mondiale che si sta dispiegando ha, quali protagonisti, gli Stati Uniti di Donald Trump, la Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jimping. Inesistente ed ininfluente l’Europa. Eppure, quest’ultima, con il Trattato di Maastricht è arrivata ben prima dell’uscita dal periodo sovietico della Russia, e del boom economico cinese.

Trump sta posizionando gli Stati Uniti per essere leader nel mondo. Con il via libera del Senato alla riforma fiscale, ha tagliato le tasse per le imprese abbattendo le aliquote dal 35 al 20 per cento, ridotto le imposte per le persone fisiche in base a quattro scaglioni del 12, 25, 35 e 39 per cento, allo scoop di favorire la crescita economica degli Usa. Il beneficio è e sarà presto evidente.

Inutile dire che l’Italia deve fare altrettanto. Già dalle tasse, Trump ha dato al mondo una lezione di libertà. Dal riordino delle tasse discende infatti il principio sacrosanto liberale einaudiano del “tanto si incassa e tanto si può spendere”. Principio sconosciuto, fracassato ed evitato come la peste in Italia dalla politica sinistra arruffona assistenzialisti.

Donald Trump ha deciso anche di rompere con l’Onu sul tema dei migranti. Ha cioè posto gli Stati Uniti fuori dal Global Compact delle Nazioni Unite scegliendo come controllare i propri confini. “La Dichiarazione di New York contiene numerose disposizioni incoerenti con le politiche Usa su immigrazione e rifugiati e con i principi dell’amministrazione Trump”, ha comunicato l’amministrazione Trump. Solo nel settembre dell’anno scorso 2016, Barak Obama ha sostenuto il processo che con i Paesi membri dell’Onu avrebbe dovuto portare all’ennesimo inutile Trattato avente ad oggetto la crisi migratoria e come affrontarla, senza che nel frattempo o in seguito si sia fatto alcunché di utile.

Nessuno è ovviamente contrario a rendere coralmente sicura per tutti, e dignitosa, l’accoglienza dei migranti, o nel portare avanti le lotte contro sfruttamento, razzismo e xenofobia. Ma l’Onu si muove tanto inutilmente quanto fragorosamente, in pratica non combina alcunché, dunque gli Usa , a ragione, si smarcano, segnalando la mancanza. Gli Stati Uniti hanno ricordato infatti e rivendicato la propria attività e anche la propria generosità continua, specificando che “le nostre decisioni sull’immigrazione devono sempre essere prese dagli americani e solo dagli americani”. Gli Stati Uniti cioè, a fronte delle frequenti astrusità e politiche falso buoniste prive di mezzi effettivi e senza controlli reali ad assecondare il processo, comprendono la falsa via percorsa, la denunciano, e decidono di preferire controllare i propri confini e gli autorizzati ad entrare negli Stati Uniti. Rendendo effettive cioè le vane parole meramente dichiarative dell’Onu e di Obama.

La Dichiarazione di New York non è ritenuta compatibile con la sovranità americana. Dopo l’Unesco e l’accordo sul clima di Parigi, Trump disimpegna così formalmente il proprio Paese sui migranti. Si prenda ad esempio l’intervento ultimo dell’Italia dei rappresentanti politici mai eletti all’Unione europea. Solo oggi viene associato il rischio terroristi sui barconi dei migranti. Che tempismo! Il problema dei migranti richiede ed avrebbe richiesto, dalle sue prime manifestazioni, decisioni valide ed efficaci,mentre è rimasto così come è stato imposto dal terrorismo, scorrerie in Italia, assenza totale di controllo ed attentati feroci tutto compreso. Trump sta dunque rivedendo e passando uno a uno al setaccio i problemi veri, reali, cui si trova a fare fronte. Il ruolo degli Usa, in questo come in gran parte dei processi a livello mondiale, è fondamentale. Trump si regola dunque di conseguenza. Riguardo al controllo dei flussi migratori, così come al l’american dream e alla land of opportunity, a i diritti e ai doveri degli immigrati a diventare o meno americani, nessuna autorità esterna e sovrana delle Nazioni Unite puó interferire.

Trump sa benissimo di non essere nè rappresentare un Paese come tutti gli altri e rivendica gli Stati Uniti e i tratti identitari del popolo americano quali fondamenta e basi dell’essere primi al mondo e totalmente indipendenti da qualsivoglia autorità esterna. È da questa base, ripulita dai calcoli e visioni sbagliate del predecessore Obama, che Trump fa ripartire il proprio Paese.

Sul fronte Medio orientale, si è in attesa della decisione di Trump riguardo il riconoscimento ufficiale di Gerusalemme quale capitale dello Stato di Israele. L’unico accordo possibile in quell’area che coinvolge gli interessi, oltre che di Israele e della Palestina, di Egitto, Giordania, Arabia Saudita e Turchia, è il fare confluire le diverse visioni e ambizioni su un compromesso che preveda il trasferimento allo Stato della Palestina di gran parte del territorio cisgiordano e la designazione di Abu Dis, a ovest di Gerusalemme , quale capitale palestinese. Tertium non datur.


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