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The road map: dal Venetex alla moneta fiscale

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Cosa dovrebbe fare – e da dove dovrebbe ricominciare – una nuova maggioranza sovranista ove mai conquistasse la guida del Paese? Uno spunto ci arriva dal Veneto, una delle roccaforti leghiste oltre che una delle “locomotive” d’Italia.

Il 9 luglio scorso, il Consiglio regionale ha approvato il disegno di legge nr. 201 che, in data 16 luglio, è diventato la legge numero 27 dal titolo: “Norme per la promozione della conoscenza dei circuiti di compensazione multilaterale e complementare su base regionale”. Il progetto riguarda il circuito delle monete complementari ed è stato condiviso dai consiglieri regionali veneti quasi all’unanimità, con 32 voti a favore, 6 astenuti e nessuno contrario. Già solo il fatto che la “questione monetaria” approdi in un documento ufficiale, anzi addirittura in un provvedimento normativo, sia pure di un ente locale, deve incuriosirci, se non addirittura entusiasmarci. È da anni, infatti, che tutto l’universo cosiddetto “populista” e anti establishment si interroga sui modi per uscire dall’euro, o quantomeno per aggirare i problemi di rarefazione, rigidità e ristrettezza  che l’euro ha generato.

Certo, la legge in oggetto ha soprattutto uno scopo culturale: promuovere la conoscenza del funzionamento della monetazione complementare; ma è comunque tanta roba visto il bisogno spasmodico di liquidità in cui si dibatte l’economia reale. E non è tutto: la legge mette anche a disposizione 50.000 euro per finanziare un sistema informativo, istituisce una sezione (nel sito web regionale) dove possono iscriversi le società che promuovono l’uso di monete complementari e impegna la Giunta a riferire ogni anno sui progressi del sistema.

La moneta complementare veneta si chiama Venetex. È stata modellata sul Sardex (nato in Sardegna nel 2010) e su analoghe “valute” già sperimentate in altre nove regioni italiane. Si tratta di una forma di compensazione tra crediti e debiti valevole solo tra le imprese iscritte al “circuito”, circa 700 solo in Veneto. Il cuore pulsante del format è la Camera di compensazione (cosiddetta clearing house) la quale apre un conto a ciascun iscritto e poi gli concede un accredito nella “moneta” di riferimento. Un Venetex vale un euro e, dal 2016 ad oggi, vi sono già state transazioni per un totale di circa 5 milioni di euro. Il beneficiario dell’accredito potrà impiegarlo per acquistare beni o servizi presso un altro imprenditore della stessa rete. E potrà, a sua volta, cedere i suoi prodotti o servigi in cambio di Venetex.

Si crea, così, una fitta rete di scambi alimentati dai Venetex. Parliamo, sia chiaro, di una moneta non a corso legale: cioè, la sua accettazione è volontaria e non obbligatoria. Essa però, ha esattamente lo stesso effetto (quantomeno tra gli utilizzatori) di una moneta a corso legale come l’euro: rappresenta “benzina” per alimentare nuovi scambi e, così, far “girare” l’economia locale. Per poterla utilizzare, è necessario entrare in un circuito (pagando una quota annuale) composto da aziende disposte ad accettare la moneta complementare come strumento di pagamento.

L’importanza di questa, legge, tuttavia, non sta nel Venetex in sé, ma nel “riconoscimento”  di ciò che esso rappresenta a un livello giuridico, politico, e territoriale importanti.  Si inizia finalmente a parlare di moneta e di creazione della moneta anche al di fuori dei cenacoli complottisti o degli sclerotici e ingessati cliché tradizionali. Per intenderci, quelli legati al modello della Banca centrale “indipendente” che crea in esclusiva denaro a debito. Nel sistema attuale, ai sensi dell’articolo 128 del Trattato sul funzionamento della UE, l’unica entità titolare monopolistica della prerogativa di emettere banconote in euro, o di autorizzarne la emissione, è la BCE. Tuttavia, pochi sanno che le banconote e le monete metalliche costituiscono solo una percentuale limitatissima (pari appena al 7 per cento) della “liquidità” complessiva in circolazione. Il 93 per cento del totale è costituito da “moneta elettronica” a debito, vale a dire aperture di credito fatte dalle banche ogniqualvolta concedono prestiti ai clienti: proprio così si generano quelle catene di compensazioni fra debiti e crediti cui si ispirano anche le monete complementari.

L’iniziativa del Consiglio regionale veneto potrebbe avere quindi pure una valenza propulsiva: rappresentare, cioè, il trampolino di lancio per “sdoganare” definitivamente un altro progetto assai più ambizioso, e perfettamente legale, in grado di pompare ossigeno nell’economia senza fare deficit – e quindi senza aumentare il debito pubblico –  e senza violare i trattati europei. Si tratta della moneta fiscale. L’Italia, secondo i più, e anche secondo la vulgata preferita dagli stessi sovranisti, ha perso la sovranità monetaria. Anche dando per buona questa tesi (giuridicamente opinabile) nessuno, però, neppure il più acceso e ortodosso europeista, mette in dubbio che tutti i Paesi dell’area UE e dell’eurozona sono ancora pienamente titolari della propria sovranità fiscale. E, quindi, sia del potere di imporre le tasse sia del potere di concedere sconti fiscali.

L’idea, variamente modulabile ma per ora confinata nell’ambito dei dibattiti tra specialisti, sarebbe quella di “mettere nelle tasche”  degli italiani decine di miliardi di euro sotto forma di sconti fiscali, o crediti fiscali che dir si voglia, idonei a pagare le tasse future. Sul piano giuridico del rispetto dei trattati, problemi zero: infatti, non  verrebbe in alcun modo violata l’esclusiva attribuita alla BCE dal surrichiamato articolo 128 del Trattato di Lisbona. Naturalmente, è fondamentale che lo sconto fiscale concesso dallo Stato a un cittadino (supponiamo pari a 10.000 euro in un conto corrente appositamente dedicato) non sia impiegabile fin da subito, nella prima dichiarazione dei redditi utile, ma solo dopo due o tre anni. Ciò consentirebbe a quel credito, proprio come avviene con il Venetex, di iniziare a circolare. Un imprenditore, o un privato qualsiasi, potrebbero fin da subito usare i titoli di sconto fiscale come strumento di pagamento. Non si tratterebbe di moneta a corso legale, cioè obbligatoria, bensì volontaria. Tuttavia, chi avrebbe motivo di rifiutarla sapendo che potrà comunque usarla per vedersi “scontate” le tasse future?

Inoltre, la circolazione pluriennale di tale moneta fiscale innescherà un circuito virtuoso che porterà a un consistente aumento di PIL (e quindi anche delle imposte dirette e indirette); ciò permetterà di iper-compensare la diminuzione di gettito fiscale futuro che lo stato accuserà  nel momento in cui tali crediti verranno “portati all’incasso” e cioè impiegati per pagare le imposte. Questa soluzione, oltre a essere ineccepibile sul piano giuridico, non potrebbe neppure allarmare i mercati perché non determinerebbe alcun aumento del debito pubblico, come tutte le agevolazioni fiscali. Essa potrebbe essere reiterata anche di anno in anno e, comunque, per il tempo necessario a rinvigorire l’economia nazionale oggi strozzata dall’euro. Dovrebbe, insomma, diventare la bandiera di ogni nuova coalizione politica desiderosa di recuperare sovranità. Soprattutto perché concernente un ambito (quello monetario) che è precondizione imprescindibile di qualsiasi serio progetto di riscatto nazionale.

Francesco Carraro

www.francescocarraro.com


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