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Terre Rare: l’arma di Pechino si sta spuntando? Cala l’export verso USA e UE

Pechino usa le terre rare come arma nella guerra commerciale, ma i dati mostrano un calo dell’export verso USA e UE. L’Occidente cerca alternative e la mossa cinese rischia di diventare un boomerang.

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La guerra commerciale, che ribolle silenziosa sotto la superficie dei mercati finanziari, si gioca su molti tavoli. Uno dei più critici è quello delle materie prime strategiche, e in particolare dei magneti a base di terre rare, componenti indispensabili per la tanto decantata transizione verde (veicoli elettrici, turbine eoliche) e per l’industria militare.

Pechino ne è consapevole e da tempo usa il suo quasi-monopolio come “arma potente” nelle trattative con Washington. Eppure, i dati recenti sembrano raccontare una storia diversa, forse più ironica.

Il calo delle esportazioni: un segnale debole?

Secondo gli ultimi dati doganali cinesi, le spedizioni di questi minuscoli ma potenti magneti verso gli Stati Uniti e l’Unione Europea sono diminuite a settembre.

È interessante notare che questo calo precede l’ultimo, plateale, inasprimento dei controlli annunciato da Pechino per (ufficialmente) “prevenire forniture alle industrie della difesa” a livello globale. Una mossa che ha lanciato un allarme e ha spinto, evidentemente, a una stretta auto imposta nelle importazioni.

Vediamo i numeri di settembre:

  • Esportazioni verso gli USA: Scendono a 421 tonnellate, in calo rispetto alle 590 tonnellate di agosto e secondo mese successivo di flessione;
  • Esportazioni verso l’Europa: Calano a 2.461 tonnellate, rispetto alle 2.582 del mese precedente. Un  calo meno sensibile, ma comunque un calo.

Questi dati seguono un calo generale registrato per tutti i prodotti a base di terre rare. La domanda sorge spontanea: l’Occidente sta già riducendo la sua dipendenza, rendendo meno efficaci le future minacce cinesi? Oppure siamo di fronte a un calo legato ad un rallentamento economico e alla crisi della mobilità elettrica?

L’effetto boomerang dei controlli

La strategia cinese sui controlli delle terre rare, esacerbata dalle tensioni sui dazi dell’era Trump, si sta rivelando un’arma a doppio taglio. Se da un lato Pechino mostra i muscoli, minacciando carenze globali (come già ventilato in aprile), dall’altro sta ottenendo due risultati indesiderati.

  1. La Reazione USA: Di fronte all’inaffidabilità del fornitore, negli Stati Uniti si assiste a un parziale ripensamento, se non all’abbandono, di alcune filiere tecnologiche che dipendono eccessivamente da questi materiali.
  2. La Reazione Europea: L’Europa, più ingessata ma non sprovveduta, sta riducendo l’utilizzo di queste componenti all’essenziale, spingendo al contempo la ricerca di alternative a qualsiasi costo.

In sintesi, la “potente arma” di Pechino sta agendo come un gigantesco acceleratore per la diversificazione delle catene di approvvigionamento e per l’innovazione tecnologica de-sinizzata. L’Occidente, costretto con le spalle al muro, sta semplicemente cercando altrove o, ancora meglio, imparando a fare a meno del monopolista.Intanto importantissimi investimenti nelle terre rare vengono fatti in Australia, dove il governo ha garantito 1,2 miliardi di dollari di Usd per le aziende del settore minerario che vogliono investire nel settore, fra cui Lynas, che opera anche un impianto di raffinazione.

Trump e la Partita a Scacchi

La questione è talmente centrale che il presidente Trump ha inserito l’allentamento delle restrizioni sulle terre rare tra le sue tre principali richieste a Pechino, in vista di fragili negoziati con una tregua commerciale in scadenza. “Non voglio che giochino con noi la partita delle terre rare”, ha dichiarato ai giornalisti.

Il punto, però, è che forse il gioco sta cambiando da solo. Mentre i leader si preparano a incontrarsi il mese prossimo in Corea del Sud, i dati di mercato suggeriscono che l’arma cinese, usata troppo spesso, rischia di diventare spuntata proprio quando Pechino decide di brandirla con più forza.

Domande e Risposte per i Lettori

1. Perché questi “magneti di terre rare” sono così importanti?

Sono fondamentali per la tecnologia moderna. A differenza dei magneti tradizionali, quelli a base di terre rare (come il neodimio) sono incredibilmente potenti e leggeri. Questa combinazione è essenziale per miniaturizzare la tecnologia e renderla efficiente. Li troviamo ovunque: dai motori dei veicoli elettrici (che devono essere leggeri e potenti) alle turbine eoliche, passando per hard disk, smartphone, cuffie e, soprattutto, sistemi di guida missilistica e hardware militare avanzato. Perdere l’accesso a questi magneti significa fermare la produzione tecnologica avanzata.

2. Perché la Cina ha il monopolio di queste terre rare?

Non perché sia l’unico posto al mondo dove si trovano. Le terre rare sono relativamente abbondanti, ma il processo per estrarle e, soprattutto, per raffinarle e separarle nei vari elementi utilizzabili è estremamente complesso, costoso e, soprattutto, altamente inquinante. Per decenni, l’Occidente è stato ben felice di “delocalizzare” questo problema ambientale in Cina, che ha investito strategicamente per controllare quasi il 90% della raffinazione globale. Ora, Pechino sta semplicemente usando questa leva strategica, costruita sull’inazione e sulla convenienza economica occidentale.

3. Cosa succede se l’Occidente non trova alternative?

Nel breve termine, sarebbe un problema serio: i costi di produzione per auto elettriche, turbine e sistemi di difesa aumenterebbero vertiginosamente, ammesso di trovare i componenti. Tuttavia, come dimostra la storia economica, nessun monopolio dura per sempre, specialmente se usato come arma. L’aumento dei prezzi e l’inaffidabilità del fornitore cinese stanno già rendendo economicamente vantaggiosi due percorsi: 1) Aprire nuove miniere e impianti di raffinazione in Occidente (Australia, USA, Canada) e 2) Investire massicciamente in ricerca e sviluppo per creare motori (specialmente per EV) che non utilizzino affatto magneti permanenti, eliminando il problema alla radice.

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