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Tasse sugli extra utili delle società? Dipende che fine fanno di questi soldi
La “Tassa sui profitti straordinari” è molto popolare, ma ha degli effetti negativi che rischiano di prolungare la crisi. BP rivedrà i suoi investimenti nel settore del petrolio e del gas nel Regno Unito, ha dichiarato giovedì, dopo che il cancelliere britannico Rishi Sunak ha presentato in giornata un piano che prevede l’imposizione di una tassa del 25% sulle società energetiche del Mare del Nord.
L’imposta sulle entrate è destinata a rimanere in vigore fino a quando i prezzi del petrolio e del gas non torneranno a livelli normali, ovvero entro il 25 dicembre.
All’inizio del mese la BP aveva dichiarato di voler investire 18 miliardi di sterline nel Regno Unito entro la fine del 2030 per aiutare “il Paese a realizzare le sue audaci ambizioni di aumentare la sicurezza energetica e di raggiungere la rete zero”.
Però le voci sulla tassa sul reddito d’impresa nel Regno Unito hanno minacciato di scoraggiare ulteriori investimenti della BP oltre i 18 miliardi di sterline. Il 12 maggio, la BP ha dichiarato che gli investimenti promessi non sarebbero stati influenzati da alcuna tassa sul reddito, ma che qualsiasi altro investimento avrebbe potuto essere ostacolato da una simile penalizzazione.
Questo annuncio però era prima della notizia della nuova tassa: “L’annuncio di oggi non riguarda una tassa una tantum, ma una proposta pluriennale. Naturalmente, ora dovremo valutare l’impatto della nuova tassa e degli sgravi fiscali sui nostri piani di investimento nel Mare del Nord”, ha dichiarato BP giovedì dopo la chiusura del mercato di Londra.
L’imposta sui profitti energetici si applicherà ai profitti realizzati a partire dal 26 maggio 2022. La nuova tassa sarà applicata ai profitti delle compagnie petrolifere e del gas con un’aliquota del 25% e si prevede che nei primi 12 mesi raccoglierà circa 6,3 miliardi di dollari (5 miliardi di sterline), che andranno ad alleggerire il carico sulle famiglie.
Se gli extra profitti delle società energetiche venissero reinvestiti in nuove fonti energetiche, al carbonio o meno, che permettessero di fornire energia a costi contenuti, allora questi profitti, paradossalmente, aprirebbero la porta alla fine della crisi. Se vengono invece sprecati o redistribuiti no. Questo fa capire l’importanza delle società energetiche sotto controllo governativo, che può obbligare a investire secondo, appunto, delle logiche di interesse nazionale nei periodi di crisi. Peccato che, nella spinta delle privatizzazione, abbiamo praticamente venduto ENI.
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