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Economia

Se Trump applicherà sdazi del 60% alla Cina, Pechino reagirà sul debito pubblico americano

L’ex vicepresidente della Banca Centrale Cinese ijn un’intervista conferma che, se Trump alzerà fortemente i dazi verso i prodotti cinesi, allora la Cina reagirà non comprando titoli di stato americani. C’è il rischio di una dura guerra commerciale

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Anche in Cina iniziano ad esserci le prime preoccupazioni sulla politica economica che il neoeletto presidente Donald Trump intenderà applicare, soprattutto in relazione all’incremento dei dazi commerciali. Zhu Min, ex vice governatore della Banca popolare cinese, ha affermato che se il presidente eletto degli Stati Uniti Trump imporrà un dazio del 60% su tutti i beni cinesi, la Cina reagirà.

Zhu Min ha dichiarato in un’intervista con Bloomberg TV venerdì (15 novembre): “Se Trump e il suo gabinetto imporranno davvero dazi del 60% alla Cina, penso che la Cina reagirà e sottoporrà il caso all’Organizzazione mondiale del commercio”.

Il funzionario non  ha spiegato quali contromisure specifiche la Cina potrebbe adottare, ma ha sottolineato che ci sono molte misure che la Cina può adottare. Zhu Min è attualmente il preside dell’Istituto nazionale di ricerca finanziaria presso l’Università di Tsinghua.

Zhu Min ha sottolineato che le tariffe influenzeranno il tasso di cambio della valuta cinese e che il tasso di cambio dipende dalle forze di mercato come il commercio e i flussi di capitale. Le fluttuazioni del tasso di cambio influenzeranno l’entità degli acquisti di titoli del Tesoro statunitensi da parte della Cina. 

La Cina è attualmente il secondo maggiore creditore estero degli Stati Uniti dopo il Giappone, con circa 775 miliardi di dollari (1,04 trilioni di dollari di Singapore) in titoli del Tesoro statunitense. Se l’export cinese verrà a scendere la reazione più ovvia, quasi naturale, per Pechino sarà far ridurre l’acquisto di titoli di Stato americani. 

Il discorso è, in realtà, abbastanza semplice: la Cina ottiene i dollari vendendo merci ali USA, che vengono pagate, appunto, in dollari. Se Pechino esporta meno in America, allora avrà anche meno dollari da reinvestire in titoli di stato emessi da Washington. 

Zhu Min ha sottolineato che la performance delle esportazioni globali della Cina è stata forte negli ultimi anni, passando da 2,5 trilioni di dollari nel 2019 a quasi 4 trilioni di dollari. Ma ha anche detto che Pechino sta attuando un aggiustamento strategico per ridurre la sua dipendenza dal commercio e promuovere invece la domanda interna, ma questo processo “richiederà ancora del tempo”. In economia il tempo è tutto, mosse corrette posso diventare disastrose perché richiedono troppo tempo per diventare efficaci. 

Gli obiettivi a breve termine di Pechino sono stabilizzare il mercato immobiliare, ridurre il peso del debito pubblico locale e aumentare la fiducia dei consumatori, ha affermato l’ex vicepresidente della Banca centrale cinese. Giustissimo, ma se i tempi saranno troppo lunghi e Pechino non riuscirà a fare a meno dell’export verso gli USA, lo scontro economico e politico fra le due parti sarà durissimo, all’ultimo sangue. 


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